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L'ora di religione: non sarebbe meglio cambiare?

dom 13 ott 2024 08:10 • Dalla redazione

C’è bisogno di conoscenza delle religioni in un mondo dove riprende in maniera impressionante l’antisemitismo, l’islamofobia, i pregiudizi

Succede di tanto in tanto che si riaccenda il dibattito sull’insegnamento della religione nelle scuole. Sappiamo che in Italia si tratta di un’ora settimanale facoltativa. Lo studente può cioè scegliere se parteciparvi o meno.

Ultimamente anche il vescovo di Pinerolo, Derio Oliviero, presidente della Commissione per l’ecumenismo e il dialogo della CEI, è intervenuto con una sua riflessione, il cui titolo è già un programma: «Insegnamento, religioni, spazio laico. Verso un nuovo statuto dell’ora di religione nella scuola pubblica» (Rivista del Clero italiano 7/8).

È da tempo ormai che viviamo il pluralismo religioso: in ogni classe troviamo ragazze e ragazzi che fanno riferimento e vivono religioni diverse, o che non ne professano nessuna. Papa Francesco non smette di ricordarci che stiamo attraversando un cambiamento d’epoca. Non si tratta semplicemente di alcuni cambiamenti, peraltro sempre avvenuti, grazie al progresso umano. Oggi il cambiamento coinvolge tutto e tutti e non sarà passeggero o controvertibile. Forse, suggerisce il vescovo, non sarebbe male che la Chiesa cattolica facesse un passo indietro, «rinunciando a uno spazio che le spetta di diritto in nome del Concordato, per aiutare la società a fare un passo avanti».

La presenza di altre confessioni religiose oltre alla cattolica dovrebbe dare luogo a un insegnamento «in chiave interreligiosa». Anzi, «se la cultura religiosa è chiamata a essere parte delle conoscenze e delle competenze dello studente in formazione, possiamo ipotizzare un insegnamento della religione per tutti». Fin qui il vescovo Derio.

Brunetto Salvarani (Settimana news, 9 settembre 2024) ragiona su alcuni interrogativi che a questo punto si aprono, auspicando un serio approfondimento. È anche mia impressione che il mondo cattolico, o quel che resta del mondo cattolico, faccia fatica a riflettere su questo tema. C’è ancora forte in alcuni ambiti soprattutto, la paura di perdere un privilegio, senza rendersi conto che il mondo è cambiato radicalmente da quando, nella revisione del Concordato fra Santa Sede e Repubblica Italiana del 1984, che appare oggi del tutto inadeguata, si è scelto di insegnare la religione cattolica, come fosse l’unica, e non una fra altre. Allora probabilmente si pensava che la secolarizzazione avrebbe cancellato ogni impronta del sacro nella società, mettendo sempre più in ombra il sacro e tutto quello che col sacro avesse avuto a che fare.

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Ma non è stato così. Nel periodo della post-secolarizzazione (quello che stiamo vivendo) stiamo tutti capendo che non si può non fare i conti con le religioni (al plurale) sul piano sociale e culturale, se si vogliono cogliere gli attuali segni dei tempi.

Nemmeno questo, ricorda Brunetto Salvarani, sarà un compito facile, «soprattutto in stagioni, quali la nostra, ricca di identitarismi e di sordità reciproche fra nuovi clericalismi e laicismi impenitenti, molto più che di dialogo e di ospitalità». Qui la scuola è chiamata a «un supplemento di responsabilità, pena il divenire lo spazio principe per strumentalizzazioni e banalizzazioni varie». La presenza di molte confessioni di fede mette sicuramente a dura prova la tradizionale ignoranza della Bibbia da parte di un gran numero di Italiani.  

Non c’è dubbio che come sempre accade, questa novità del pluralismo religioso può dare fastidio, fare paura. Ma se si assume uno sguardo laico (necessario per aprirsi a un sano pluralismo) può anche portare a un autentico salto di qualità.

C’è bisogno di conoscenza delle religioni in un mondo dove riprende in maniera impressionante l’antisemitismo, l’islamofobia, i pregiudizi verso zingari e nomadi in genere. Credo sia opportuno e necessario riprendere in mano il documento che nel 2007 il Ministero dell’Istruzione metteva a punto: La via italiana alla scuola interculturale. Si sottolineava l’opportunità di allargare lo sguardo degli alunni stessi in chiave multireligiosa, consapevoli del pluralismo religioso che caratterizza le nostre società e le nostre istituzioni educative e della rilevanza della dimensione religiosa in ambito interculturale.

Termino con l’auspicio di Brunetto Salvarani: «Mi pare evidente, in tale prospettiva, che l’aspetto della confessionalità dell’insegnamento religioso in Italia risulti anacronistico, a cominciare dalla stessa sua dizione, Insegnamento della religione cattolica, come se quella cattolica fosse una religione e non una confessione cristiana accanto alle altre. Così come il meccanismo attuale di scelta dei docenti, che registra il protagonismo dei vescovi ma sovente mette a disagio chi è coinvolto (per più di un motivo, essendo una gabbia insieme dorata e precaria).

Sarebbe un segnale importante se la Conferenza episcopale, sulla linea dell’analisi del vescovo Olivero, accettasse di avviare una ridiscussione con le autorità competenti, in un dibattito franco e aperto: ne guadagnerebbero gli stessi docenti dell’Insegnamento di religione cattolica».

 

 



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