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Inaugurata la mostra ‘Volti nel tempo. Ritratti e figure di cinque secoli’

sab 26 ott 2024 19:10 • Dalla redazione

Al Museo Diocesano Tridentino, aperta dal 26 ottobre 2024 fino al 27 gennaio 2025

TRENTO. Nella storia dell’arte occidentale il ritratto rappresenta uno dei generi più frequentati, affascinanti e complessi. La mostra "Volti nel tempo. Ritratti e figure di cinque secoli", inaugurata ieri pomeriggio presso il Museo Diocesano Tridentino e realizzata con il contributo della Provincia autonoma di Trento, ha l’obiettivo di illustrare le tappe salienti della ritrattistica dalla fine del Cinquecento alla metà del Novecento attraverso una selezione di opere appartenenti alle collezioni del Museo Diocesano Tridentino, la maggior parte delle quali presentate per la prima volta al pubblico.

L’indagine intreccia vicende biografiche ad aspetti più propriamente sociologici e psicologici. Interessa la storia del gusto, della moda e del collezionismo, l’esaltazione ufficiale del potere, la rappresentazione delle virtù dell’individuo, i concetti di memoria, imitazione e idealizzazione, la restituzione visiva dei ‘moti dell’animo’, l’evoluzione dei canoni della bellezza femminile.
Il Museo propone delle visite guidate per esplorare da vicino l’evoluzione della ritrattistica e i segreti di queste affascinanti opere.

Le opere sono raggruppate per nuclei omogenei disposti in successione cronologica. I più antichi ritratti presentati in mostra risalgono al periodo postconciliare: sono le effigi di Aliprando Madruzzo e di un ignoto canonico: riflettono il gusto per l’oggettività e il sobrio naturalismo, aspetti in linea con l’ideologia della Controriforma, ovvero espressione di valori morali consoni all’ortodossia cattolica.

Al periodo barocco risale il ritratto del principe vescovo Francesco Alberti Poia. Il presule era noto per il suo raffinato mecenatismo, di cui sono testimonianze supreme la cappella del Crocifisso in duomo e la Giunta albertiana al Castello del Buonconsiglio. Nel ritratto, eseguito da Giuseppe Alberti, il più importante pittore trentino del periodo barocco, il vescovo è raffigurato a busto intero, con il berretto sacerdotale in capo e sulle spalle la mozzetta di ermellino foderata di raso violetto. Pur nella sobrietà quasi austera dell’impaginazione, l’opera si caratterizza per l’espressione intensa del volto, colto nel momento in cui si appresta a parlare, e lo sguardo acuto.

Nel Settecento, il protagonista indiscusso della ritrattistica, non solo in Trentino, fu Giovanni Battista Lampi, promotore di una ricerca volta a contemperare le esigenze di rappresentanza della committenza ufficiale con le istanze del realismo e dell’approfondimento psicologico. Al suo pennello si devono i ritratti del principe vescovo Cristoforo Sizzo de Noris e di Gabriele Gabrielli, parroco di Povo. Il XVIII secolo è il secolo della moda delle parrucche, un accessorio artificioso, costoso, pesante e antigienico che divenne, tuttavia, uno degli status symbol della nobiltà e della borghesia. La parrucca suscitò nel mondo ecclesiastico accese discussioni: proibita da alcuni papi, fu infine concessa al clero nel 1740. Nei ritratti esposti in mostra si può osservare l’evoluzione di questo accessorio lungo il corso dell’intero secolo.

Una progressiva semplificazione dell’abbigliamento e degli sfondi caratterizza i ritratti eseguiti nel corso dell’Ottocento: questa evoluzione incontra le richieste della borghesia di possedere rappresentazioni più fedeli dell’individuo e rievocazioni esatte degli ambienti. Ci si allontana così dal ritratto ufficiale o idealizzante e ci si orienta verso una formula di maggior sobrietà che, oltre a suggerire la collocazione socio professionale dei personaggi, sia capace di fissarne fisionomie e atteggiamenti in pose meno formali e in contesti più intimi, ponendo particolare attenzione alla resa delle diverse espressioni e attitudini psicologiche. Sono rappresentativi di questo periodo i ritratti in pendant di una coppia di coniugi realizzati da Ferdinando Bassi.

Sul finire dell’Ottocento si afferma il ritratto di società, accademico, oleografico e convenzionale, espressione del potere delle élite cosmopolite della Belle Époque, ma anche delle ambizioni della borghesia e delle classi meno agiate di provincia. Quasi in polemica con questo filone e con la fotografia, cui va il merito di aver trasformato un privilegio regale in una comunissima azione meccanica, la ritrattistica moderna accentua progressivamente la tendenza verso l’astrazione, allontanandosi dalla resa realistica del modello: l’indagine privilegia la libera interpretazione delle tante umanità da parte degli artisti. Sul piano tematico, nessuna categoria sociale è esclusa: il mondo del ritratto è affollato da ogni ceto sociale; sul piano stilistico, la deformazione e il non finito sono gli strumenti espressivi che permetto di isolare qualche particolarità dell’individuo – un volto, uno sguardo, un gesto – per ottenere un’intensificazione, spesso in chiave psicologica, dell’immagine. Questa fase di transizione emerge chiaramente nel confronto tra tre ritratti del vescovo Celestino Endrici: dall’effigie formale di Sigismondo Nardi, alla visione più libera di Orazio Gaigher, fino all’intima incisione di Luigi Bonazza, che ne coglie l'essenza più profonda.

La penultima sezione della mostra presenta una serie di autoritratti e ritratti di artisti. Tra Otto e Novecento, l’autoritratto d’artista assume una nuova dimensione, diventando non solo una rappresentazione fisica, ma un'indagine psicologica e introspettiva. Gli artisti esplorano la propria identità e interiorità, spesso in risposta ai cambiamenti sociali e culturali dell'epoca. Artisti come Umberto Moggioli, Remo Wolf, Romano Conversano usano l’autoritratto per esprimere emozioni intense e tormenti personali, rompendo con la tradizione accademica in linea con le innovazioni espressive delle avanguardie.

L’ultima sezione della mostra è dedicata al ritratto femminile tra Ottocento e Novecento. Le opere riflettono le profonde trasformazioni sociali, culturali e artistiche che attraversano quest’epoca di transizione. Nei ritratti di Leonardo Campochiesa, risalenti alla seconda metà del XIX secolo, la donna è spesso raffigurata secondo ideali di bellezza e virtù domestica, rispecchiando il ruolo tradizionale a cui era allora relegata. Le figure femminili appaiono eleganti, con abiti sontuosi e pose composte, rappresentando il tipico ideale borghese. Con il passaggio al Novecento, l'immagine della donna si evolve, e diventa specchio dei cambiamenti nella società e della lotta per l'emancipazione femminile. I ritratti diventano più audaci, esplorano la psicologia e l'interiorità del soggetto, rompendo con gli stereotipi estetici. Le donne vengono dipinte con maggiore libertà, spesso immerse in atmosfere intime o colte in momenti di riflessione, esprimendo personalità complesse e una nuova consapevolezza di sé. Il ritratto femminile non è più solo un simbolo di bellezza passiva, ma diventa un mezzo per esplorare identità, emozioni e potenziale creativo. Questa linea evolutiva si ripercorre nelle opere dei grandi artisti trentini del Novecento: Gino Pancheri, Guido Polo, Elio Martinelli, Romano Conversano e altri.

 

Volti nel tempo. Ritratti e figure di cinque secoli - Mostra e catalogo a cura di Domizio Cattoi
Museo Diocesano Tridentino, Piazza Duomo 18 - Trento
26 ottobre 2024 – 27 gennaio 2025

Orari: 10.00-13.00 / 14.00-18.00. Giorni di chiusura: ogni martedì; 1 novembre, 25 dicembre, 1 e 6 gennaio

Visite guidate sabato 2 e 16 novembre, ore 16.00 -17.00. Per partecipare è necessario prenotarsi tramite email prenotazioni@mdtn.it o telefonando al numero 0461 234419. Posti limitati (massimo 25 persone). La visita guidata dura un'ora e rientra nel biglietto intero d'ingresso al museo (7€).

 



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