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Il bandista trentino: pilastro della comunità, poco considerato dagli altri musicisti

sab 02 ott 2021 20:10 • By: Alberto Mosca

Presentato a Trento lo studio commissionato da Federbande all’Università di Trento: una fotografia a colori del mondo bandistico. Nelle valli di Non e Sole i bandisti più giovani

TRENTO. Quali sono le caratteristiche del bandista trentino, quali elementi sostengono la motivazione a “fare banda”, che tipo di connessioni sul territorio crea la banda? A queste domande ha dato una prima risposta la ricerca commissionata dalla Federazione delle bande trentine al Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Università di Trento, i cui risultati sono stati presentati stamane nella prima giornata del convegno “Il senso di fare Banda ieri, oggi e domani: testimonianze e prospettive”, organizzato in occasione dei 70 anni di Federbande. Per la prima volta, attraverso la collaborazione con l’Ateneo trentino, è stata fatta una “fotografia” dello stato dell’arte del mondo delle bande trentine.

Ha aperto il convegno, moderato da Daniele Lazzeri, il saluto del presidente Renzo Braus, che ha ricordato la ricorrenza del 70° anniversario di Federbande come occasione per questo importante incontro; quindi l’assessore alla cultura della PaT, Mirko Bisesti, che ha portato il proprio ringraziamento per il lavoro fatto dalla Federazione, sottolineandone il ruolo e ricordando la diffusione e la qualità della formazione musicale in Trentino, “unicum a livello nazionale”.

A dare quindi una cornice sociologica ai temi di giornata è stato il prof. Christian Arnoldi, docente di sociologia della comunicazione all’Università di Trento: “In montagna – ha spiegato Arnoldi - convivono più montagne, che configurano spazi esistenziali differenti: quello delle comunità locali, del villaggio turistico, dello spazio-museo, custode dell’immagine e della memoria della vecchia montagna spazzata via da quella nuova”.

In questi contesti le bande recitano molteplici ruoli: offrono occasioni di impegno, incontro, riconoscimento e formazione, in comunità spesso segnate dalla rarefazione sociale; sono parte, come “attrazione”, della montagna turistica; sono spazio della memoria del luogo negli eventi sociali, mezzo per riproporre l’identità specifica di un luogo, connotandosi come “autentici” componenti di una comunità, “veri abitanti del luogo”.

A presentare quindi la ricerca sociologica sono stati il prof. Mario Diani, direttore del Dipartimento di Sociologia, e la prof.ssa Silvia Sacchetti, professoressa associata del Dipartimento di Sociologia: ne è emerso un quadro che analizza il contesto delle competenze, della motivazione, dell’organizzazione partecipativa, della connettività con altre associazioni, della soddisfazione dei percorsi intrapresi, della reputazione dei bandisti trentini.

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Innanzitutto i numeri del campione: su 86 bande contattate, in 79 hanno partecipato all’indagine con uno o più bandisti: ne è derivato un quadro composto da 1017 risposte complessive e 780 questionari compilati in modo completo. Un dato quindi definito “robusto” da Diani e Sacchetti.

In primo luogo, alcuni dati contribuiscono a definire un identikit del bandista trentino: per il 52% sono donne, mentre l’età media è di 35 anni. Riguardo all’età, abbiamo un’età media più bassa, 20-34 anni, nelle valli di Non e Sole, mentre più anziane appaiono le bande della Val d’Adige, con una prevalenza di over 55.

I bandisti trentini sono per metà parte di una relazione stabile e per metà singoli; il 44% lavora a tempo pieno, con una prevalenza dei lavoratori dipendenti rispetto agli autonomi. Nella maggior parte i bandisti sono impiegati, insegnanti, operai; il 41% dei bandisti ha una licenza superiore.

In secondo luogo, l’indagine si è concentrata sui fattori che influiscono sulla capacità dei bandisti di mantenere il proprio impegno nella banda: sotto questo profilo il 36% vanta un permanenza che va dai 6 ai 15 anni, il 20% sotto i 5 anni, il 19% tra i 31 e i 62 anni: un record, quello di 62 anni di permanenza nella banda, che è vanto di due bandisti in Trentino.

Per soli 153 bandisti su 905 la motivazione è in fase calante rispetto alla propria entrata in banda; per 312 essa è uguale e per 440 essa è addirittura aumentata.

Tra le motivazioni iniziali che portano un individuo a entrare nella banda vi sono la creazione di competenza e il miglioramento della propria sfera relazionale; poi sono la partecipazione, la flessibilità, la formazione, gli elementi che definiscono lo stile organizzativo della banda a stabilire la resistenza dei bandisti.

Di queste tre componenti, più importanti appaiono la partecipazione nell’indirizzare la vita della banda e la flessibilità rispetto all’impegno richiesto: un eccesso di pressione sul bandista non ha buon esito sulla sua motivazione. Importante è quindi la creazione di un senso di appartenenza, la possibilità di stringere amicizie e la qualità dell’esibizione: il repertorio è motivo di soddisfazione al pari della qualità delle relazioni, uno stile partecipativo nella direzione di banda, i progressi fatti nel suonare insieme: tutto ciò alimenta la vitalità del bandista e contribuisce a formare la banda come una comunità. In conclusione, la motivazione in un bandista non si esaurisce da sola, ma dipende dal clima che si respira in banda.

Infine, le connessioni: la banda come parte di un tessuto che scambia musica e che condivide le persone con altri mondi associativi: il 25% dei bandisti è impegnato contemporaneamente in altre esperienze musicali amatoriali e il 50% dei bandisti indica almeno altri due tipi di esperienze in altri generi musicali.

In questo senso, i musicisti più poliedrici sono quelli più anziani, che dedicano molto tempo alla pratica, che hanno un’idea di banda come servizio alla comunità ed elemento di costruzione dell’identità, che pensano che la banda sia sottovalutata dagli altri musicisti.

Il bandista trentino è assai eclettico e nel 50% dei casi fa parte di altre associazioni, non musicali; in prevalenza questo tipo di bandista è di sesso maschile, risiede fuori delle aree urbane, non è laureato, con una non lunghissima militanza nella banda, convinto di dare un positivo contributo nella crescita della comunità e vede riconosciuto questo ruolo. Tra le associazioni preponderanti, vi sono la Pro Loco, quelle parrocchiali e quelle sportive.

Il 30% dei bandisti segue almeno due tipologie di attività culturali: in questo caso prevalgono studenti o laureati, persone che operano in varie associazioni e ancora una volta ritengono di contribuire alla crescita comunitaria e vengono riconosciuti in questo ruolo.

In conclusione la banda è ben integrata nel territorio e i bandisti interrogati evidenziano:

  •           varie e molteplici combinazioni di gusti musicali
  •       un forte radicamento nelle associazioni “storiche” delle comunità locali, che operano come ponte verso altre componenti del mondo associativo
  •           un’intensa partecipazione agli eventi locali, che rappresentano il punto di convergenza di attività culturali altrimenti eterogenee.

Ha chiuso la mattinata il musicologo Marco Russo (Università di Trento), che ha parlato proprio della percezione “sminuente” che i bandisti sentono nei propri confronti da parte degli altri musicisti, partendo da un diffuso senso di “non considerazione” patito dai bandisti e peraltro evidenziato dalla ricerca sociologica presentata precedentemente.  “Si tratta – ha detto Russo - di un senso di non considerazione da parte del mondo musicale ufficiale molto radicato, che va risolto. L’origine militare della banda è all’origine di un certo senso di inferiorità, ma, con un paragone con il jazz, anche la musica bandistica ha avuto un’evoluzione che l’ha resa genere autonomo e rispettabile: la banda non è più quella ottocentesca, un certo dinamismo l’ha trasformata, dotata di proprio repertorio e con una capacità di ampliare la creatività individuale”.



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