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Avvento: è ancora tempo di attesa?

dom 05 dic 2021 14:12 • Dalla redazione

Nella nostra cultura non abbiamo bisogno di una verità unica, ma c’è ancora posto per Dio?

VALL DEL NOCE. Anche quest’anno per i cristiani è cominciato l’Avvento. Ma non è una finzione? Non è una costruzione religiosa questo ripetersi degli anni liturgici, questo inserire il tempo fra un inizio e una fine; questo ritualismo liturgico non è forse un’illusione? Dobbiamo cominciare a chiederci seriamente cosa aspettano le donne e gli uomini d’oggi. Non Dio; non il Dio che ci hanno trasmesso.

Mi succede spesso di incontrare persone che mi pongono i loro dubbi su come è stato loro spiegato il Vangelo. E, credo, succeda ancora che si insegni un Vangelo preso quasi alla lettera, come testo storico, a cui è impossibile credere. In un bel libro don Armando Matteo, già presidente nazionale della FUCI e ora sottosegretario della Congregazione per la dottrina della fede, mette in evidenza tutte le difficoltà di credere in Dio per “l’uomo comune”. Egli scrive che nella cultura postmoderna «non abbiamo più bisogno di Dio»: già nel 1859 Charles Darwin con la pubblicazione del volume “L’origine della specie” aveva di fatto sganciato la comparsa dell’uomo sulla terra dal legame con Dio. Invitava «a guardare l’origine della specie umana piuttosto che in direzione dell’alto… in direzione della comune parentela con altri animali».

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È da qui che nasce un capovolgimento nel modo di pensare, dove la ricerca scientifica prende un posto preminente rispetto a una visione, dove mai era messa in discussione la necessità del pensiero di Dio. E dopo poco tempo si collocano la Prima e la Seconda internazionale, che hanno trasformato la protesta di Marx - non possiamo attendere il paradiso! - in un programma politico dove il cielo divino perde anche la sua funzione di luogo ultimo cui aspirare per far fronte alla magra vita. Il paradiso trova posto qui in terra dove c’è benessere e ci sono soldi, tanti soldi. E arriva Freud a riformulare il concetto di anima, spogliandola di ogni aura trascendente.

Si potrebbe continuare a lungo, perché nella nostra cultura non abbiamo bisogno di una verità unica: emerge la soggettività; ognuno la pensa a modo suo e nessuno può contestarlo, per dirla in soldoni. Non ci sono principi ultimi. In tutto questo cambiamento di visione del mondo, c’è ancora posto per Dio? I cristiani affermano di sì. Ma necessariamente non sarà più il Dio onnipotente che interviene a risolvere ogni male della terra e dell’universo. Sarà il Dio di Gesù, che sulla terra ha portato un nuovo modo di essere uomini, ha indicato un mondo di fratelli che va costruito. Non sarà nemmeno il Dio che all’inizio ha creato il paradiso terrestre dove ha posto Adamo ed Eva, perché il paradiso terrestre è una realtà posta nelle mani degli uomini. Spetta loro edificarlo. È realtà del futuro e non del passato! E dunque attendere Gesù è attendere da chi sa ancora sognare un tempo qualitativamente diverso, è l’attesa di chi vive le periferie. Ognuno è «messaggero» che preparerà la via del Signore, (Mc 1,1) ed è «voce di uno che grida nel deserto» (Mc 1,3). Ogni cristiano è in cammino con il fratello Gesù, fino a quando «Dio sarà tutto in tutti» (1 Cor 15,28). Coloro che credono attendono la manifestazione di Dio non secondo il linguaggio mitologico della Scrittura, che appare ingenuo e distante. Dobbiamo tradurlo nella città secolare, impegnandoci nella storia di tutti i giorni, secondo quanto il Signore ha consegnato a ciascuna e a ciascuno. Vivere come se tutto dipendesse da noi e, nello stesso tempo, essere consapevoli che Dio ci accompagna nelle nostre opere.   



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