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Érzi!

lun 04 apr 2022 09:04 • By: Laura Abram

Alla scoperta di un verbo misterioso. Érzi non si traduce, si fa

Ci sono ogni tanto quelle parole dialettali intraducibili che ci viene voglia di usare anche in italiano, perché nessun’altra espressione o giro di parole renderebbe abbastanza bene il concetto.

Mi è successo lo stesso un giorno d’estate di tanti anni fa, mentre facevo da babysitter ad un bimbo svizzero di madrelingua italiana. Per quanto le sue conoscenze e competenze linguistiche fossero vaste già allora (capiva e parlava fluentemente italiano, tedesco e svizzero e conosceva qualche parola di inglese e francese), il dialetto noneso gli era sconosciuto e io mi ero abituata a parlare con lui italiano corretto o, al bisogno, un po’ di tedesco.

Un giorno stava bevendo del succo di mela da una borraccia per bambini, di quelle con il succhiotto estraibile, e si stava arrabbiando perché si vedeva ancora un po’di succo dentro il contenitore ma, mentre provava a bere, non usciva nulla. Io ho iniziato a dargli indicazioni come: “Tira su bene”, e lui provava ad aprire meglio il succhiotto tirandolo verso l’alto, ma non era quello che intendevo io; quindi ho tentato con: “Ma no, alza” e lui alzava la borraccia in aria guardandomi interrogativo, poi riprendeva a bere senza risultato e sempre più alterato, finché io ho detto: “Érzi, ben!”.

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Lui si è fermato e con un misto di frustrazione e sconforto mi ha detto: “Ma cos’è érzi?!” Eh. Bella domanda. Érzi non si traduce, si fa. Allora mentre teneva la borraccia in bocca ho cercato di spingere il fondo verso l’alto il più possibile in modo da farne uscire tutto il contenuto. A posteriori mi chiedo: non potevamo svitarla e bere senza succhiotto? Certamente, ma questa scena indimenticabile mi ha dato modo di riflettere ancora una volta sulla nostra lingua. Un bambino che si poteva già allora definire poliglotta e che al bisogno mescolava le lingue per comprendere o comunicare in determinate situazioni, non era in grado di decifrare la mia indicazione, nemmeno grazie al contesto.

Sono andata anche sul dizionario di Enrico Quaresima per trovare una traduzione di érzer, che ovviamente non c’è; è sostituita da una lunga perifrasi che spiega il verbo: “Sollevare la parte posteriore d’una botte (o simili) per farne uscire quel poco liquido che ancora contiene”. Esattamente quello che intendevo io con un imperativo di sole 4 lettere: érzi.

Ma da dove verrà questo particolare verbo? In realtà la sua storia è molto più semplice di quel che si possa pensare, perché è direttamente collegato all’italiano “erigere” e alla sua forma poetica e rara “èrgere”, con sincope della i. Erigere deriva dal latino come composto di ex- e regere, con il significato di “dirigere dal basso verso l’alto”, infatti noi lo conosciamo principalmente come verbo legato alla costruzione di edifici e usiamo frequentemente il suo participio passato, eretto. Anche un’altra parola molto usata in noneso deriva da qui: ert o erta, nel senso di “ripido/a” o di “salita” che altro non sono che i participi passati del verbo sincopato èrgere o, per noi, érzer.



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