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La radio, verità e fantasia al potere

mer 30 ott 2019 • By: Sandro de Manincor

Un mezzo di comunicazione che resiste allo strapotere degli altri media e non conosce crisi

Il 17 aprile del 1967, 18 milioni di italiani alle 4 del mattino si incollarono alle radioline per seguire la conquista del titolo mondiale di Nino Benvenuti sul ring di New York. E, el “Bepi del Ciocio”, grande appassionato di boxe, raccontò al bar di Monclassico: “Stanòt ghèra el pugilato ala radio, Benvenuti-Griffith. T’avesi vist che pugni!”. Forse proprio in questa frase capiamo la grande magia della radio, capace addirittura di farci vedere le cose e sognare. Un mezzo di comunicazione che, da quando è stato inventato, resiste allo strapotere degli altri media, anche più ricchi, e non conosce crisi.
A casa mia c’era una splendida radio, che si regolava con una grande manopola e un occhio magico di luce verde che aiutava a sintonizzare perfettamente le stazioni. Il suono chiaro e potente riempiva la stanza e noi ragazzi vivevamo la nostra spensieratezza con la Hit Parade di Lelio Luttazzi, Bandiera Gialla e Alto Gradimento di Renzo Arbore e i suoi surreali personaggi. Momenti di divertimento e cultura popolare che alimentavano tutta la giornata condividendoli poi con i compagni di scuola.
Il silenzio era d’obbligo invece in occasione del giornale radio e soprattutto delle cronache sportive da “Tutto il calcio, minuto per minuto”, alle cronache delle tappe del Giro d’Italia. Qui l’immaginazione e la fantasia trovavano la massima espressione. Le voci che arrivavano distorte dalle motociclette al seguito della corsa in rosa dovevano descrivere minuziosamente il paesaggio che scorreva, prendendo riferimenti per i riscontri cronometrici e misurare i distacchi. Il racconto era quasi poetico.
Come dimenticare, “Un uomo solo al comando. La sua maglia è bianco celeste. Il suo nome è Fausto Coppi”. Ricordo perfettamente anche Giacomo Santini che sulle rampe dello Stelvio diceva: “Galdos che attacca, Bertoglio che risponde. Davanti a noi muraglie di neve. Pagheremo caro un giorno questo freddo intenso!” E vedevo, sì, vedevo perfettamente, lo sforzo e la fatica, le facce stravolte di questi due eroi, la strada tortuosa, i colori delle maglie e sentivo pure un po’ di freddo. Questa era ed è la magia della radio. Dare la possibilità di costruirci un nostro mondo, una nostra visione, dare voce alla nostra fantasia e immaginazione. Un processo creativo che oggi, purtroppo, si è affievolito creando un popolo passivo di tele-rimbambiti con il bombardamento di suoni e immagini provenienti dai nostri smartphone, tablet e computers.
La radio, invece, è pure credibile, (chi metterebbe in discussione il mondo che ci si è fantasticamente inventato?), dando spazio alle varie voci, ai dibattiti, agli approfondimenti. Mia madre, ad esempio, per sottolineare la veridicità e solidità di una notizia da non mettere nemmeno in dubbio ha sempre detto: “Ma se i l’ha dit ala radio!”. Ed è sempre un’emozione immaginare anche chi si nasconde dietro quella bella voce. E proprio per questo, quando qualche programma di successo ha traslocato in TV è sempre stata una piccola delusione, un incantesimo che si è rotto. Ho avuto modo anche di stare dalla parte della radio quando, nel 1992, mi collegavo da San Diego in California, per raccontare a Radio Dolomiti le gesta del Moro di Venezia all’America’s Cup. Che emozione, sapere che al risveglio i trentini sentivano la mia voce, mentre io mi apprestavo ad andare a letto, e raccontare oltre alle gesta sportive la bellezza delle californiane, vere o immaginate, e sognare e far sognare.
Oggi l’evoluzione tecnologica ci ha portato moltissime opportunità, una comunicazione completa e sempre più ricca coinvolgendo quasi tutti i nostri sensi e arrivando addirittura alla realtà aumentata. Una corsa sempre più veloce verso l’iper-realtà nella quale immergiamo e alla quale affidiamo i nostri bambini e giovani colpendo a morte contemporaneamente la fantasia, l’immaginazione e le comunicazioni interpersonali. Non c’è più spazio per il dialogo, non c’è più tempo per i sogni, non c’è più voglia di fantasia. E ci sarebbe invece tanto bisogno di quello slogan che animava il ‘68 nostrano e che urlava: “La fantasia al potere”. W la radio.

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