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Un prima, un dopo … e intanto?

ven 15 gen 2021 • By: Nora Lonardi

«Lavoriamo oggi per un domani che sia migliore»

Quando nella vita accade un evento particolarmente importante e significativo, tale da rendere estremamente difficile per non dire impossibile ripristinare completamente la condizione precedente l'evento, questo accadimento rappresenta una netta linea di demarcazione fra un prima e un dopo.

Il prima e il dopo una malattia o un incidente invalidante, una perdita o un lutto, una catastrofe devastante, una guerra, una pandemia planetaria come quella che stiamo vivendo. Tuttavia fra il prima e il dopo può esserci un durante che, nel caso di Covid 19, sta perdurando ormai da molto tempo. Ed è proprio questo stato di sospensione, in cui quotidianamente si registrano contagi e purtroppo decessi, a cambiare profondamente la vita delle persone, anche di quelle che non incontrano direttamente il virus, incidendo in ogni sfera; dalla salute fisica -psichica alla vita di relazione e lavorativa, arrivando a destabilizzare il sistema economico, sociale e politico. E in attesa di un dopo, che non sappiamo quando e come sarà, è giusto riflettere e ragionare su come potrà essere, e operare affinché sia un dopo migliore possibile, una condizione che dovrà essere necessariamente diversa da quella che ha preceduto la pandemia e forse, per molti versi, causato. È come se l'umanità, e soprattutto una certa parte di essa, in questo periodo avesse di fronte un'occasione unica e una sfida imperdibile per fare ammenda degli errori passati, della cecità più o meno consapevole rispetto ai rischi cui si andava incontro, della noncuranza riguardo ai segnali che la storia anche recente e la natura ci stavano chiaramente indicando.

In questo momento, nel quale la priorità è rivolta in primis all'emergenza sanitaria, ci troviamo a dover affrontare le perdite, oltre che di vite umane, anche economiche e sociali, che ci stanno travolgendo. Ci vorrà del tempo per comprendere appieno e superare tutti gli effetti reali di questa grande crisi umanitaria, tuttavia non c'è dubbio che i pilastri su cui poggia la “civiltà” odierna abbiano ricevuto una forte scossa. Forse l'errore più grave sarebbe quello di volere ripristinare questi pilastri nella stessa identica forma. Se anche ciò fosse fattibile, probabilmente ci ritroveremmo in poco tempo nella situazione attuale, totalmente immemori e impreparati ad affrontare nuove e grandi sfide che sicuramente arriveranno.

Di quali pilastri stiamo parlando? Sul piano sociologico li riassumerei in una unica locuzione: modello di sviluppo. Il modello di sviluppo dominante, quello che negli anni ha portato a depredare il pianeta e interi popoli; a sfruttare tutte le risorse esistenti e purtroppo limitate; a perseguire livelli di ricchezza assoluta e concentrata in una piccola manciata della popolazione mondiale a scapito del crescente impoverimento della restante; a penalizzare settori cruciali della vita pubblica e privata (salute, welfare, ricerca...) in favore del business e del profitto esasperato; a voler omologare incessantemente il mondo delle idee e dei valori al fine di trasformare l'umanità in masse eterodirette. La crisi odierna ci costringe più di ogni altra crisi precedente a cambiare la rotta. Non si tratta né di ideologia né di pura utopia, ma di necessità.

Già si sono affacciati e si intravedono riflessioni e proposte in questa direzione, anche nel nostro piccolo territorio, attraverso alcuni ripensamenti sulle economie di settore. Pensiamo ad esempio al turismo, ambito che nella sua forza di traino ha dimostrato tutta la propria vulnerabilità, insita in un modello di sviluppo che porta alla concentrazione massiva di persone in determinati luoghi e in ristretti periodi stagionali, come accade ad esempio per lo sci alpino, non a caso definito come vera e propria industria. Oltre all'impatto ambientale che ne deriva in termini di “consumo” del territorio (disboscamento, spreco idrico per l'innevamento, eccessiva antropizzazione di luoghi naturali con conseguente squilibrio dell'ecosistema), appare evidente, e la situazione attuale ce lo dimostra, che quando un'economia poggia in maniera preponderante su un modello tanto esasperato e intensificato si viene a trovare, e continuerà a trovarsi, in una condizione a rischio di tenuta, con pesanti ricadute su tutto l'indotto, oltre che sull'occupazione.

Ora ci si deve veramente impegnare nel delineare nuovi scenari di progresso, sulla base di scelte politiche, economiche, ma anche della responsabilità delle singole persone, che siano improntate alla diversificazione e all'innovazione di paradigmi ormai obsoleti e insostenibili, al miglioramento della vita fisica, psichica e sociale di tutti, al rispetto e alla promozione della dignità umana in ogni sua espressione, alla salvaguardia e alla tutela della natura. Per questo è fondamentale recuperare un senso di responsabilità individuale, collettiva e condivisa, anche per evitare che la paura e l'incertezza si trasformino in depressione generale, che il senso di perdita diventi generatore di egoismi e/o solitudine, che i vissuti personali e sociali trovino sfogo in azioni aggressive e violente o auto lesive, come di fatto sta accadendo. Ora più che mai appare necessario riuscire a “vedere e valutare il grande contesto dei fatti storici nei suoi riflessi sulla vita interiore e sul comportamento esteriore di tutta una serie di categorie umane” (Charles Wright Mills, L'immaginazione sociologica, 1959). Economia, tecnologia, ricerca scientifica e sociale, mondo del lavoro e comunità possono e devono dialogare in questa direzione.

Nell'attesa di uscire da questa terribile situazione e da questo stato di sospensione, ma anche e soprattutto oltre, pensiamo, dunque, e condividiamo idee e progetti per un dopo, per un cambiamento culturale, per una ripresa sostenibile, economica, sociale e a vantaggio di tutti. 


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