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Quale consapevolezza del talento Anaune?

ven 05 mar 2021 • By: Moira Barbacovi

Siamo consapevoli di vivere una realtà di inedito talento culturale e sociale?

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Giorni fa mi trovavo in un bar e ho condiviso il quesito con la barista, che ha detto: “Io vengo da fuori, sarà per questo che apprezzo moltissimo questo territorio. Il mio compagno a volte mi dice: - Andiamo via, andiamo in città!-. Io rispondo: -Lasciami qua! Qui è il Paradiso!-”.

La sua risposta mi ha proiettata a Firenze, al periodo in cui elaboravo la tesi di laurea presso i principali musei della città, con l’incarico di valorizzarne le qualità. Ricordo che, prima di riqualificare Palazzo Vecchio, la direttrice di allora intervistò i concittadini: raramente nelle risposte era riconosciuto all’edificio il ruolo di storica Reggia Medicea, di polo culturale e di governo che finanziò i mitici artisti del Rinascimento.

È normale: il talento di un individuo, così come quello di un popolo, è dote innata! Coloro che nascono e crescono in contesti di talento, lo trovano normale. Per individuarne le tracce è importante distinguere tra talento e potenzialità. Il talento si manifesta quando una potenzialità, detta anche punto di forza, viene riconosciuta dall'esterno.

Alberto Mosca, giornalista e storico, ci conduce alle origini del talento Anaune per svelarlo. Consente di dare risalto agli occhi di chi lo vive da protagonista, più intento ad agire piuttosto che a filosofeggiare sul proprio operato. Questo accade ai più lodevoli costruttori! D’altra parte vivere sulle vette è un’esperienza inedita.

 

Qual è il talento riconosciuto alle nostre Valli nella storia?

Sin dal Cinquecento è riconosciuto un talento globale riguardo all’Anaunia da parte diversi autori. Ortelius inserisce la Val di Non nel suo atlante Theatrum orbis terrarum. Nel Seicento Michelangelo Mariani cita la Val di Non come notabile per fertilità e larghezza, pregi naturali non di esclusivo merito di noi abitanti. Soprattutto riconosce un talento al popolo, che descrive come avente capacità particolari, e alla sua classe di governo. È il riconoscimento di un insieme di talenti, non di un fenomeno isolato e straordinario!

Jacopo Aconcio di Ossana, uno dei maggiori filosofi del Cinquecento europeo, notaio come il padre, va a Trento in qualità di segretario del cardinale Madruzzo e si distingue per le riflessioni inedite sul il tema della tolleranza nel campo della professione della fede religiosa. Dopo essersi rifugiato a Milano e in Svizzera approda infine in Inghilterra come ingegnere militare di Elisabetta la Grande.

Nicolò Bevilacqua di Termenago, alla guida della tipografia ducale di Emanuele Filiberto di Savoia, si forma presso il grande stampatore veneziano Aldo Manuzio. Aprirà la sua bottega e diverrà uno dei più importanti editori italiani, generando una dinastia di stampatori. Il compaesano Donato Fezzi aprirà la tipografia del Principe Vescovo di Bressanone. Per non parlare di Bernardo Cles, personaggio di spicco estremamente noto. Ricordiamo infine, avvicinandoci ai nostri tempi, altre figure di altissimo rilievo come Carlo Antonio Pilati, Carlo Antonio Martini, Giacomo Bresadola, Bruno Kessler. Questi sono solo alcuni esempi!

 

Emerge il profilo di un popolo dalle abilità peculiari in cui spiccano pionieri e innovatori, persone talentuose in vari campi delle scienze e dei mestieri riconosciute a livello europeo. Quale la fonte?

Un simbolico punto d’origine va cercato a mio avviso nello straordinario documento che è la Tavola Clesiana. In essa, nel 46 d.C., l’Imperatore Claudio cita Anauni che decidono le cause in Roma, guidano legioni, amministrano l’Impero. Affermazione importante in sé, e che svela altro: ci dice quanto fossimo evoluti e sviluppati! Se i Nonesi risultano ben inseriti in un contesto di civiltà come quello romano significa che il processo era avviato da tempo: c’era scambio proficuo e vicendevole di cultura, di commercio e di idee. Si deduce anche che non furono implicati nelle guerre retiche che hanno sterminato tanti popoli alpini, come riporta il trofeo delle Alpi di La Turbie, in Francia. È noto che gli Anauni costituivano uno dei rari popoli alpini che usavano la scrittura prima dell’arrivo dei Romani; né Galli, né Germani scrivevano, tutto era tramandato oralmente. Saper scrivere accende nel cervello aree particolari e spinge a salti evolutivi. Credo ci abbia dato un vantaggio strategico mantenuto nel tempo. Aspetto cognitivo questo che meriterebbe approfondimento.

 

Abbiamo delineato l’identità anaune in termini di talento di comunità. Quali potenzialità la compongono?

Se consideriamo la storia dei popoli delle terre alte, delle montagne, notiamo un ingegno particolare dovuto all’asprezza del territorio: “Se mi casca tutto in bocca dall’albero, non ho stimoli”. Inoltre quelli alpini sono da sempre popoli di frontiera e di cerniera soprattutto, tra il Nord e il Sud dell’Europa. Quindi erano abituati nella loro solitudine a incontrare culture differenti.

Altro aspetto è la consapevolezza di avere responsabilità sulle risorse naturali: l’acqua “va in giù” e sgorga dalla montagna, i grandi minerali sono nelle miniere di montagna e anche i passaggi tra territori. Infine gli Anauni, come già detto, sapevano scrivere, e formavano un popolo evoluto sin dall’antichità, riconosciuto e stimato dai contemporanei. Stentava a fare la guerra! Emblematico il rapporto con i Romani attraverso il quale traggono vantaggio; hanno capito che con la guerra si perde tutto, specialmente con un tale nemico. Questo è sinonimo di intelligenza e di capacità di leggere gli eventi. Partendo da questo punto è possibile comprendere l’attuale attitudine di porsi dinnanzi agli eventi in maniera attiva. Il Noneso e il Solandro di fronte alle difficoltà, di fronte alla opportunità, di fronte alle possibilità si ingegnano per fare il meglio: è questo che veramente indica talento per le cose!

 

L’auspicio di Alberto

Bernardo di Chartres disse nel XII secolo che, è vero, gli uomini del presente vedono lontano. Ma che tuttavia devono ricordarsi che siamo nani seduti sulle spalle dei giganti, di coloro che hanno vissuto prima di noi e ci hanno passato i frutti della loro ricerca, della loro vita. È importante studiare la storia, ammirare queste comunità e i loro grandi personaggi, ringraziarli e prenderli ad esempio, non a modello, perché i tempi sono diversi. Bisogna utilizzare le conoscenze mettendoci il nostro apporto originale.

Portiamo il nostro contributo! Il gigante che deve alzare la generazione prossima siamo noi! Siamo dentro la storia, prendiamo il buono e trasformiamolo a favore di chi arriverà dopo di noi.

 

In questo viaggio nella nostra storia abbiamo scovato l’identità del nostro popolo e alcune forze del carattere che ci hanno aiutato a costruire la nostra Terra. Esserne consapevoli suscita i sentimenti di fierezza che merita!


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