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Facciamo la rivoluzione

mer 10 nov 2021 • By: Sandro de Manincor

“Non dobbiamo impegnarci in azioni grandiose ed eroiche per partecipare al cambiamento. Piccole azioni, se moltiplicate per milioni di persone, possono trasformare il mondo” (Howard Zinn)

Sostenibilità è sicuramente il termine più usato (e abusato) del nostro periodo. Non esiste attività, evento, azione che non venga promossa come “sostenibile”, senza sapere, a volte, cosa significhi in termini pratici.

Similmente a un qualsiasi politico e amministratore, che usa il termine come un mantra e condizione senza la quale sfumerebbero tanti consensi.

Se aggiungiamo inoltre che, per la maggioranza delle persone sostenibilità fa il pari semplicemente con ambientalisti e verdi, ecco che la confusione rischia di essere ancora più discriminante. Nel numero dedicato di NOS Magazine abbiamo cercato di aprire un po’ lo sguardo e l’orizzonte, sentendo pensieri e raccontando esperienze pratiche dei principali attori del nostro territorio che hanno iniziato un percorso sicuramente impegnativo e lungo.

Il termine in sé è molto semplice, e parte appunto dal verbo “sostenere”. Sostenere buone pratiche di vita che riguardano ogni aspetto, al fine di vivere meglio, oggi e soprattutto domani, interrompendo il delirio distruttivo che ha caratterizzato il frenetico sviluppo degli ultimi decenni. Sviluppo, sia ben chiaro, che non è da demonizzare, ma che, se non osserviamo tutti certe regole, rischia di soffocarci.

Si tratta insomma di recuperare tante cose che avevamo già (si pensi al biologico ad esempio) e che, per assurdo, oggi ci costano semplicemente di più. Ma la sostenibilità non deve certamente limitarsi all’ambiente e ai prodotti del territorio; oggi si parla anche e fortunatamente di sostenibilità economica e sociale, cercando di realizzare la definizione ufficiale del termine e cioè quella di “creare le condizioni di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”.

I bisogni, appunto, che oggi spesso sono sovradimensionati ed effimeri, in nome di un consumismo eccessivo, di “influenze” mediatiche, di fenomeni di massa che si poggiano sull’apparire e su una cultura dell’usa e getta, sul tanto fumo e poco arrosto. Forse quindi è proprio sulla definizione dei bisogni effettivi e sul loro soddisfacimento distribuito globalmente che serve riflettere e lavorare.

Forse, la vera sostenibilità si concretizzerà con una piccola rivoluzione culturale che riguarda tutte le generazioni e tutti gli aspetti. E la cosa non si risolve certamente con le contrapposizioni fra la dipendenza dai dispositivi tecnologici che caratterizza i nostri figli e il nostalgico vivere in malga che pure qualche giovane ha abbracciato, o fra la demonizzazione dell’atomizzatore contrapposto alla frutta “nature”, spesso brutta e attaccata dai parassiti.

La sfida, invece, è trovare l’equilibrio, facendo, per assurdo, un passo indietro. Una sfida culturale che insegni che il bisogno di uno è il bisogno di tutti, che si vince se si opera in squadra, che un territorio cresce se la gente che ci vive lo difende, lo ama e lo rispetta e non lo svende in nome di un profitto facile. E allora numeri e quantità diminuiranno, ma qualità e speranza per il futuro cresceranno.

Il problema vero è che i tempi si sono compressi e spesso limitati allo spazio fra una elezione e l’altra, e in questo caso i numeri contano ancora. Ma resta bello sognare che chi ha la responsabilità delle decisioni non insegua semplicemente il consenso facile o l’appoggio delle lobbies del momento, ma si immagini uno sviluppo in cui il rispetto, la cooperazione, e soprattutto la visione di un futuro equilibrato, la facciano da padrone. Perché il conto fra le risorse, di qualsiasi tipo e che utilizziamo spesso maldestramente, e le risorse disponibili, è già profondamente in rosso.  

 



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