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Protetti dall'alto

lun 16 mar 2020 • By: Alberto Mosca

Quando i santi aiutavano a vivere (e a morire) gli uomini e le donne

Pittore tirolese, Madonna in Trono con i santi Rocco, Fabiano e Sebastiano, Tassullo, chiesa di San Vigilio, 1495.

Quando li vediamo dipinti nelle chiese o sulle facciate, lungo le vie di traffico, i santi ausiliatori “ufficiali” e quelli invocati dalla devozione popolare in tempo di flagelli, spesso vengono guardati con simpatia, magari compatimento per tempi lontani e diversi, per finire nell’aneddotica se un amico o un bambino ci chiede “Chi è?” “Perché è trafitto di frecce?” Perché la gamba sanguina?”

Così Rocco, Sebastiano, Cristoforo, Antonio abate, Acacio, Barbara, Biagio, Caterina, Ciriaco, Dionigi, Egidio, Erasmo, Eustachio, Giorgio, Margherita, Pantaleone e Vito diventano presenze familiari, sempre lì, in movimento tra storia e leggenda, fede e superstizione.

Credo che, passati questi giorni, guarderemo a queste figure centrali nell’immaginario medievale e moderno con occhi e cuori diversi: le cronache di questi giorni ci raccontano della tragedia che, specie nella provincia bergamasca (da dove venivano i Baschenis) sta rendendo il numero dei morti per il Covid19, impressionante. A Cene, 4300 abitanti, in soli 12 giorni sono morte 70 persone; nel 2019, in tutto l’anno furono 120, o con l’Eco di Bergamo che in un’edizione pubblica dieci pagine di necrologi...

Ma soprattutto per il modo crudele per cui si muore di coronavirus, efficacemente riportato dalle testimonianze di medici e infermieri in prima linea: il malato infetto muore da solo, senza il conforto di un saluto, di una mano che si stringe, di una voce che dà coraggio, solo con il ricordo di coniugi, figli, nipoti. Solo. Solo e senza il conforto di un funerale con tutti gli onori.

Giovanni e Battista Baschenis, Ss. Rocco e Sebastiano, Cusiano, chiesa di Santa Maria Maddalena, primi anni del XVI secolo.

E non basta dire semplicemente: erano anziani, perché erano coniugi, genitori, nonni, amici. Persone, generazioni: preziose, sebbene la morte di un anziano sia, umanamente “più accettabile” rispetto a quella di un giovane o di un bambino. Analogamente, immaginabile è lo strazio di chi, da "fuori", affida gli ultimi pensieri di affetto e di saluto ai parenti "dentro", a quegli stessi medici e infermieri. Cari che non rivedranno il loro defunto, ma solo una cassa chiusa. 

La realtà di questi giorni è comunque una pallida eco di quello che poteva essere un’esplosione epidemica, fosse peste, vaiolo, colera, nei secoli passati.

Paesi e case isolate, famiglie isolate, nessun aiuto che non fosse la guardia alle strade per mantenere la quarantena (che era di 40 giorni, per questo la chiamiamo ancora così), lazzaretti posti lontano dagli abitati e vicini ai corsi d’acqua in cui isolare i malati.

La pietà, comunque senza esequie, arrivava dopo, con i “monatti” resi celebri da Manzoni, che prelevavano nelle case i morti, e magari anche qualcos’altro di valore, per arrivare alle fosse comuni sparse di calce.

Il terrore di una morte solitaria, crudele, improvvisa riempiva i pensieri e le paure di un mondo rispetto al quale qualcuno di noi si crede superiore. Per questo Rocco, Sebastiano, Cristoforo e gli altri, portatori di conforto e speranza, ci affidano un messaggio vivo, anche ai giorni nostri.

Immagini dipinte e scolpite che da qui in avanti non guarderemo più come prima.

 


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