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Il direttore risponde

Le relazioni, il Covid19 e il coraggio delle scelte

lun 06 lug 2020

Riceviamo e pubblichiamo

Gentile Direttore/a, dopo 4 mesi di separazione ci dicono che dobbiamo aspettare ancora. E anche oggi, ancora una volta solo un piccolo schermo ci ha permesso di salutare la mamma di 88 anni: non vi auguro di trovarvi di fronte a vostra madre che cerca di accarezzarvi toccando il tablet che ha di fronte.
Ci dicono che presto si potrà tornare a vedersi di persona... ma solo a debita distanza, alzando la voce perché l'udito è quello che è, arrivando a mani vuote e soprattutto senza toccarci. Ma qualcuno si rende conto che così non si può andare avanti? Mia madre è viva, non se n'è andata per il Covid, si trova solo a pochi chilometri di distanza e lei lo sa: vorremmo tornare ad accarezzarla, a mostrarle qualche bella foto delle persone che conosce (anche perché non riesce ad usare il cellulare), a mangiare un dolcetto, a raccontarle quello che facciamo là fuori, a commentare le nuvole nel cielo o il tg, a farle sentire l'affetto dei suoi figli, forse l'unico che le interessa a questo punto... E tutto questo senza essere costretti a interpretare i silenzi da lontano, o a cambiare discorso con leggerezza davanti ad un'operatrice che si trova ad entrare, senza volerlo, nelle pieghe della nostra famiglia.
Ci attenderanno turni pazzeschi: ogni familiare potrà prenotare una visita ogni 10 giorni e, dunque, se siamo più di uno, serviranno settimane... Ancora attendere. Non so se lei potrà farlo. E soprattutto se riuscirà a perdonarci. Eppure questo deserto per qualcuno è cosa da poco. Mentre sono diritti negati. Ancora e sempre per questione di soldi? Soldi che devono promuovere ogni obiettivo, tranne che il benessere degli anziani? Mi chiedo se non basterebbe una spesa limitata per attrezzarci con le tute e il disinfettante, per pagare qualche ora di lavoro in più ad alcuni operatori esperti, per liberare qualche percorso sicuro, per offrire più tecnologia... E perché non coinvolgere e responsabilizzare di più proprio i parenti? È ancora così povera di democrazia autentica la nostra città?
Se chi governa, se i nostri amministratori locali non si renderanno conto presto di questo drammatico impoverimento dei legami sociali e delle ripercussioni che tutto questo avrà sulla vita delle nostre famiglie e sul tessuto delle nostre città, se non facciamo di tutto per dimostrare coi fatti che chi invecchia resta al centro della società, tra qualche anno ci ritroveremo a vivere in un lager... Anche in questo Trentino ben pasciuto, dove c'è chi continua a chiudere gli occhi perché pensa che il problema non lo tocchi. E non si rende conto che gli piomberà addosso molto presto.
Ma noi trentini stiamo alle regole e, dal momento che ci hanno detto di pazientare, abbiamo inghiottito e pazientiamo... Chi, intanto, muore di solitudine non siamo noi, sono i nostri genitori che se ne andranno, dopo aver evitato il peggio. Ma che società vogliamo? Gli anziani, i bambini, le donne, gli stranieri, i disabili... sono sempre in fondo alle scelte pubbliche quando il sistema si sgretola, i primi ad uscire e gli ultimi a rientrare. Questa è una società malata.
Per questo non ci siamo accampati davanti al cancello della RSA con i cartelli e i megafoni, perché i nostri antagonisti non sono lì. Chi vorremmo scuotere non sono solo i nostri rappresentanti politici (che sanno che tanti dei nostri anziani non votano più!), ma anche quei dirigenti e funzionari della pubblica amministrazione che hanno perso il senso della prossimità e della cura sociale. Possibile che non si riescano a progettare e articolare risposte più coraggiose? Le relazioni sono la rete che regge e dà qualità al nostro welfare: in questi mesi la pandemia ce lo ha ricordato con violenza. Ci deve pur essere il modo per restituire concretezza a queste relazioni, è questa la vera battaglia che dobbiamo fare, è questa la prima opera pubblica di una politica sana. Ma abbiamo poco tempo: nessuno lo vede? 

Silvia Ropelato

Gent.ma Sig.ra Ropelato, Carissima lettrice, anzitutto mi sento in dovere dirle un grande grazie, per la sua lettera e le sue più che giuste lamentele e osservazioni. Pensieri che devono far riflettere proprio chi ha il dovere di decidere per il bene della società, che non è sicuramente quello di blindarla e chiuderla a qualsiasi attività di relazione in nome dello spauracchio del contagio. Così la soluzione è fin troppo facile e banale e ripara da responsabilità solo chi l’ha presa. Ma il ruolo di chi ci amministra e della politica in particolare è proprio quello di assumersi le responsabilità, non di ripararsi e basta. Sappiamo tutti che all’inizio di questo gran casino, forse per leggerezza o forse anche per impreparazione, sono stati fatti tanti danni irreparabili, alcuni dei quali hanno causato la dipartita prematura dei nostri cari nonni. Ma ora, con il picco dell’emergenza oramai alle spalle, senza scelte che tengano conto degli aspetti da lei evidenziati, si rischia di fare altri più consistenti danni e dilaniare una società. In fondo con un po’ di precauzione e soprattutto un bel po’ di buonsenso, si potrebbe tornare ad un rapporto fra familiari e anziani quasi normale. Uno screening preventivo e costante dei visitatori e degli addetti e alcune norme di sicurezza garantirebbero l’area “covid-free” in cambio di emozioni, carezze e parole che nessuna tecnologia, anche evoluta, può sostituire. Una cultura e tante storie da valorizzare e custodire gelosamente e che rischiamo di perdere, impoverendoci tutti. Speriamo che, anche grazie al nostro lavoro di amplificazione, qualcuno della stanza dei bottoni si prenda a cuore la situazione, organizzando subito un  gruppo di lavoro con familiari, esperti, addetti ai lavori per individuare la soluzione più efficace e individuare al più presto un sano protocollo che restituisca il sorriso a tanti. Ci tenga aggiornati.

Il direttore
Sandro de Manincor



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