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SuperBonus delle meraviglie?

Il SuperBonus delle diseguaglianze

mer 11 ago 2021 10:08 • By: Albino Leonardi

In pochi si sono accorti delle distorsioni legate a incentivi e agevolazioni

Ispirate a obiettivi alti, come la riqualificazione del patrimonio immobiliare e il contenimento del rischio sismico, le agevolazioni fiscali per gli interventi nel settore dell’edilizia sono il terreno ideale per il consolidamento delle profonde disuguaglianze che caratterizzano il nostro sistema economico.

Il pacchetto principale delle disposizioni, significativamente definito “superbonus”, rappresenta infatti un vero e proprio “oggetto del desiderio”. Non c’è da stupirsene. In un Paese, come l’Italia, dove quasi l’80 percento delle famiglie vive in una casa di proprietà, le misure che vanno a incidere sulla fiscalità degli immobili hanno sempre rappresentato l’amo a cui far abboccare il contribuente/elettore.

Pochi però si sono accorti delle distorsioni del “superbonus”, alcun parlano di “bolla speculativa”. Lo fanno i proprietari degli immobili, che vorrebbero ristrutturare beneficiando delle corpose agevolazioni. Lo fanno con più intensità le categorie imprenditoriali, strette nella morsa di un ingiustificato aumento dei costi delle materie prime, reattività finanziaria inadeguata di fronte ai crescenti bisogni e scarsità di mano d’opera.

La dotazione messa in atto per le detrazioni fiscali sulle spese di ristrutturazione e di riqualificazione energetica è pari a 8,4 miliardi di euro (di cui 1,7 dal risparmio energetico), ai quali si possono aggiungere 1 miliardo euro di detrazioni per interessi sui mutui.

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A fronte di questo, l’immobile genera un gettito complessivo (per Imu e Tasi) di circa 21 miliardi di euro. Evidentemente, con gli sgravi messi in campo dal “superbonus” il sistema restituisce ai proprietari di immobili la metà circa del gettito complessivo di Imu e Tasi. È chiaro quindi che, a pari capacità contributiva, il superbonus genera notevoli diversità di trattamento tra contribuenti a seconda che essi siano o non siano proprietari dell’immobile in cui vivono.

Si dirà che questo meccanismo ha il risultato di preservare il patrimonio edilizio. Ma anche da questo punto di vista il “bonus facciate” (la detrazione del 90 per cento delle spese sostenute per il rifacimento delle facciate degli edifici, senza limiti di spesa) non ha nulla a che vedere con la legge Malraux, approvata in Francia nel 1962, a cui il legislatore italiano sostiene di ispirarsi. La legge Malraux permetteva infatti la creazione di aree da salvaguardare “che presentino caratteristiche storiche, estetiche o suscettibili di giustificare la conservazione, il restauro e lo sviluppo di tutto o parte di un complesso di edifici” e consentiva la deducibilità dal reddito dell’intera spesa sostenuta per il restauro (non solo delle facciate). Il nostro “bonus facciate” è invece il trionfo del “fai da te”, concedendo incentivi “a pioggia” senza nessuna priorità di tipo ambientale o anche solo architettonico. A Parigi i proprietari sono costretti a rinnovare le facciate almeno ogni dieci anni, con una detrazione del 30 per cento delle spese per l’efficienza energetica. E in caso di mancato adempimento, i lavori vengono svolti dal comune e il proprietario dovrà rimborsare le spese e pagare una multa.

Non solo. L’impennata del costo delle materie prime sta mettendo in atto un trasferimento forzato di ricchezza, senza alcun controllo. Un fenomeno che lascerà tracce profonde nella filiera produttiva, con l’innesto di processi selettivi di stampo “darwiniano”, che non darà scampo alle realtà meno strutturate. Un percorso per certi aspetti doloroso, ma coerente con le più severe logiche di mercato, che pare destinato a incidere sulle imprese di taglia medio-piccola, ossia su quelle caratterizzano il tessuto produttivo provinciale e nazionale.

Tutto questo a meno che non si intervenga su parametri di remunerazione standardizzati, quali il cosiddetto “preziario provinciale” (ossia il “necessario parametro di riferimento”, previsto dall’articolo 13 legge provinciale 26 del 1993), come infatti viene richiesto a gran voce da parte delle imprese del settore edile.

 



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