La vigilia di Ferragosto è morto il
pastore Paolo Ricca, per mezzo
secolo il volto più noto e autorevole del protestantesimo italiano. Aveva 89
anni. Sicuramente è stato una delle personalità più impegnate a tracciare il
volto del cristiano del futuro. «Ho impiegato tutta la vita, diceva, tentando
di diventare cristiano, perché, per Kierkegaard,
siamo tutti aspiranti cristiani». Guardando alla sua vita possiamo dire che lui
c"è davvero riuscito, anzi, è riuscito oggi a dare carne al cristiano del
futuro.
Vorrei per questo motivo, seguendo ciò che lui ha scritto, rispondere alla domanda fondamentale che dovremmo porci, e cioè: cosa significa oggi essere cristiani, credere in Gesù Cristo? Nel Vangelo di Marco (8,34) Gesù dice: «"Se uno vuol venire dietro a me, rinunzi a sé stesso, prenda la sua croce e mi segua".
Ci sono qui tre indicazioni importanti. La prima è «rinunciare a se stesso». Non vuol dire, naturalmente, rinunciare a vivere la propria vita in modo soddisfacente, o peggio ancora, alienarsi, ma rinunciare a essere il signore di se stesso, a non confrontarsi mai con la Parola del Vangelo, a escludere Dio dalle proprie decisioni importanti. Il cristiano imita Gesù, fa spazio a Dio nella sua vita personale.
La seconda indicazione è «prendere la
propria croce». «La croce di cui Gesù parla è la croce del cristiano, cioè il
peso e la fatica di cercare di essere cristiani in un mondo ostile che, oggi
più che mai, almeno in Europa, non vuole sentir parlare né di Dio né di Cristo.
L"Occidente però, per quanto miscredente, è, in generale, democratico e
liberale, e perciò pratica la libertà religiosa.
In questo senso, in Occidente,
essere cristiani non significa portare la croce. Ma in molti paesi religiosi la
libertà religiosa non esiste, e in particolare non esiste per i cristiani, che
sono discriminati e perseguitati, e spesso anche uccisi, e le loro chiese
incendiate. I cristiani di quei paesi sanno che cosa voglia dire "prendere la
propria croce". In Occidente i cristiani devono non lasciare arrugginire la libertà
che si gode, utilizzandola per testimoniare Gesù e l"Evangelo, nelle varie
forme in cui questo può avvenire, senza "vergognarsi" - come dice Gesù stesso
(Marco 8,38) - di lui e delle sue parole». (Paolo Ricca) La croce, intesa come
il peso delle nostre contraddizioni, della nostra creaturalità , non va cercata,
perché nemmeno Gesù l"ha cercata. E non è nemmeno la sofferenza che talvolta ci
opprime e contro la quale dobbiamo lottare per sconfiggerla. Il terzo significato e contenuto
distintivo della fede cristiana è "seguire Gesù", che significa sforzarsi di mettere
in pratica personalmente e come comunità i suoi insegnamenti, che troviamo
principalmente nel discorso della montagna (Matteo, capitoli 5 "“ 7). Questo modo di intendere la sequela
(cioè l"andare dietro a Gesù) libera da una convinzione piuttosto radicata nei
cristiani, quando pensano di dover aderire a una religione con le sue dottrine,
regole, riti, gerarchie ecc. La fede cristiana è stata ridotta a
questo: obbedire alla gerarchia, frequentare una serie di riti, creati talvolta
più per controllare di chi ci si può fidare che per vera devozione.
Quello che
occorre chiedersi, scrive Paolo Ricca, è semmai «se il cristianesimo come
sequela di Cristo esista da qualche parte oggi nel mondo o se, addirittura, sia
mai esistito». Da uno sguardo anche non troppo approfondito, possiamo
vedere che la fede è rara in questo mondo. C"è molta religione, semmai. E chi è religioso rischia sempre di
vivere staccando quello che fa nei confronti di Dio (pregare, compiere
pellegrinaggi, essere devoto ad ogni messaggio della Madonna che, per dirla con
papa Giovanni XXIII, per essere la
madre di Dio parla un po" troppo"¦ ecc. ma poi dimentica la presenza di Cristo
nell" uomo, in ogni uomo senza distinzione di razza, lingua, religione. Un ateo
che lotta per la giustizia, cerca di costruire un mondo di pace, è vicino a chi
soffre è più vicino al cuore di Dio che un cristiano eccessivamente devoto. L"essenziale
per un cristiano è seguire Cristo Figlio di Dio e Figlio dell"uomo, cercare di
imitarlo, «tutto il resto che troviamo nelle Chiese (ed è davvero tanto!), non
fa parte dell""essenziale cristiano"; appartiene a quello che gli antichi
teologi chiamavano, con una parola greca, adià fora, cioè "cose indifferenti",
nel senso di "cose che non fanno la differenza", "cose trascurabili", proprio
perché non essenziali» (Paolo Ricca).
