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La liturgia diventa muta?

La riflessione domenicale

La liturgia diventa muta?

È domenica, giorno durante il quale i cristiani sono invitati a “santificare le feste”, come recita il terzo comandamento. Si è sempre pensato, e in realtà molti lo pensano ancora, che significhi principalmente partecipare alla messa. I meno giovani si ricordano che le chiese si riempivano e i credenti più o meno convinti vi si recavano per pregare il Signore. Diversa è la situazione oggi. Molti sono i banchi che restano vuoti e soprattutto le persone che partecipano ai riti religiosi sono piuttosto avanti negli anni. I giovani vi fanno capolino soltanto qualche rara volta.

Perché questo mutamento così decisivo? Va detto che non è una situazione solo italiana e riguarda anche la chiesa ortodossa e protestante. In Italia, anzi, si nota una partecipazione ancora “elevata”, che si attesta intorno al 19%; contemporaneamente aumentano però anche coloro che non si sono mai recati in chiesa (31%).

Sappiamo tutti che i posti vuoti nelle nostre chiese, si riempiono solo occasionalmente, per la festa della prima comunione, la partecipazione a un funerale, il Natale o la domenica delle Palme più che nel giorno di Pasqua. Poi, nelle parrocchie di montagna, le chiese si riempiono in estate grazie alla partecipazione dei turisti.

Partecipare alla messa o a un rito religioso generalmente non scalda il cuore. Lo si evince in modo evidente dalla consultazione promossa dalla chiesa italiana nella prima parte del Sinodo da poco concluso. Tra i nodi da affrontare quello della “revisione del linguaggio della liturgia” è stato fra i più gettonati. È un linguaggio lontano dalla vita delle persone che vorrebbero probabilmente parlare a un Dio che si coinvolge nei loro problemi e nei problemi del mondo e che risponde trasmettendo calore, serenità, speranza… In realtà la sensazione di molti (non di tutti, perché non si può fare di ogni erba un fascio) è l’incontro con una «liturgia fredda, astrusa, difficilmente comprensibile», «lontanissima dalla sensibilità culturale odierna», «che sul piano esistenziale nulla dice e nulla evoca», «incapace di comunicare la bellezza della buona novella», «non in grado di parlare agli uomini e alle donne di oggi, siano essi credenti o non credenti, per non parlare dei giovani e dei bambini»; e ancora, un linguaggio liturgico/ecclesiale «ancorato a vecchie visioni teologiche», un «flusso di parole che non toccano né i cuori né i cervelli», dove «i simboli diventano puri simulacri», dove «manca l’esperienza del mistero di Dio», con «le omelie che spesso sono piatte e noiose, lontane dai problemi quotidiani, mentre dovrebbero essere fondate su che cosa la Parola dice oggi a noi»; tutte condizioni che «più che avvicinare, possono allontanare le persone dall’esperienza cristiana».

(Cf. https://camminosinodale.chiesacattolica.it/ (11.4.2023).

C’è poi un modo diverso di intendere il rapporto con Dio: «non occorre andare a messa, basta fare del bene». Infine si aggiungono gli scandali della chiesa, che talvolta arrivano a cancellare anche quel poco di fede che qualcuno conserva. Sono accuse forse un po’ ingenerose, perché non è facile pregare in un’assemblea eterogenea, dove ciascuno ha attese diverse; c’è ad esempio chi vi partecipa “trascinato” dalla forza della tradizione, chi ogni tanto “sente il bisogno”, chi vive questa esperienza come importante.

Resto perplesso, però, se mi pongo la domanda: a quale Dio ci si rivolge? Al Padre di Gesù, che i cristiani pensano e credono Padre di tutti, o al Dio onnipotente, che stringe alleanze con i forti e con i ricchi, che dimentica i poveri? Non è una domanda peregrina, soprattutto in questo nostro tempo. Non lo è perché compito della liturgia è invitare, anzi promuovere un cambiamento dello stile di vita. Oltre a ciò «i giovani sono ben consapevoli che “la chiesa non è più così rilevante, la sua influenza sulla società è diminuita” e “ha una forza minore rispetto a una volta, quando qualsiasi cosa affermata da un organo della chiesa era ritenuto un dogma”» (Franco Garelli, Piccoli atei crescono, ed.

Il Mulino).

Non mancano tuttavia nelle parrocchie possibilità di vivere esperienze liturgiche positive, luoghi in cui si sperimenta la gioia di trovarsi insieme, ascoltando la Parola del Signore e invocando lo Spirito santo. Succede in quelle comunità cristiane più convinte e creative, dove c’è la ricerca di un cristianesimo «più connesso alle attuali condizioni di vita, più in grado di rapportarsi alla coscienza moderna». (F. Garelli, Credere oggi, 3/23).

  

 

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