Forse nessuno se lo aspettava, ma è un segno decisamente positivo il fatto che la seconda assemblea del Sinodo italiano, tenuta in Vaticano, non abbia approvato il documento finale, le proposizioni.
Lo ha messo in evidenza fra i tanti, anche la teologa Serena Noceti, che ammette come anche questa assemblea del Sinodo, appena conclusa, sia stata caratterizzata da un cammino di una comunità che vuole prima di tutto ascoltare: «È stata una vera esperienza di Chiesa sinodale. Ciò che è successo in assemblea è stato un momento di grande crescita ecclesiale. Non eravamo divisi tra "base" e "vertice", ma abbiamo camminato insieme, vescovi e laici, con schiettezza e spirito di comunione. Il confronto di opinioni è stato vivace, segno che la sinodalità è stata assunta come modalità reale di lavoro. Si percepiva già all'inizio che esistevano posizioni critiche, e sono state manifestate sempre con libertà e chiarezza». Questo aspetto positivo va tenuto presente e messo in pratica anche nel futuro. Solo così sarà possibile affrontare tutti i problemi, anche quelli più spinosi.
Dunque è successo che il documento finale, le proposizioni che avrebbero dovuto essere approvate, sono state rispedite al mittente, perché, spiega la Noceti, «non è accettabile che un testo venga redatto semplificando la ricchezza delle richieste e delle proposte emerse da decine di migliaia persone».
Già da molto tempo si sentiva mormorare che la Chiesa, la sua gerarchia in particolare, era molto lontana dal pensiero e dalla vita dei credenti. Ora alcuni temi di questa lontananza sono venuti alla luce con chiarezza. Si tratta ad esempio del ruolo della donna nella chiesa (nessun accenno alla possibilità di accedere al diaconato), poco spazio alla pastorale lgbtq, alla condizione dei divorziati dentro la comunità cristiana. Ed è stato proprio questo il punto più criticato.
La proposizione numero 5 accenna alla necessità di formare operatori pastorali in grado di favorire «l'integrazione delle persone che soffrono perché si sentono ai margini della vita ecclesiale a causa delle loro relazioni affettive o condizioni familiari ferite o non conformi al matrimonio sacramentale (sposati civilmente, divorziati in seconda unione e conviventi eccetera) o del loro orientamento sessuale e della loro identità di genere». Di critiche sono state oggetto anche le proposizioni dedicate ai giovani, alla trasparenza finanziaria, alla burocrazia presente nelle chiese locali, al riarmo. Probabilmente la commissione che ha redatto il documento non è stata capace di andare oltre un certo linguaggio troppo burocratico, che in fondo impedisce di prendere qualche decisione davvero innovativa, anzi profetica.
Tra i cristiani c’è chi poco si interessa dei problemi di pastorale, perché, si pensa, riguardano i vescovi e i preti.
C’è anche chi rischia di essere più clericale dei preti. Il Sinodo ha dimostrato che sta nascendo una chiesa che non ha paura delle idee diverse, dei modi di vivere finora considerati da evitare, di un cammino verso nuovi traguardi, come ammette Erio Castellucci, vescovo di Modena e presidente del Comitato nazionale del cammino sinodale: «In Italia non avevamo mai avuto un’esperienza così scandita e prolungata di sinodalità ed è quindi normale che in alcuni momenti ci sentiamo impreparati. Certamente nessuno poteva immaginare questo esito assembleare: ma alla fine è stata una “bella sorpresa” di ascolto dello Spirito, che porterà sicuramente a compiere passi in avanti. Passi un po’ più lenti di quelli immaginati da noi. Ma forse lo Spirito ci rallenta perché possiamo prendere la rincorsa verso scelte più capaci di assorbire e annunciare la Parola di Dio, che «corre veloce» (Salmo 147,4). L’auspicio è che nessuno scordi il cammino sinodale e quanto ha insegnato alla chiesa
