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Ma il mondo vive la Pasqua?

La croce non è da venerare, è da combattere! E invece è tragicamente una realtà voluta e cercata

Ma il mondo vive la Pasqua?

Se mi guardo attorno, mi convinco sempre di più che in questo nostro mondo a vivere è il venerdì santo, la maledizione e la condanna degli innocenti. La Pasqua è solo una vacua speranza, se non addirittura una parola in mano ai potenti che illudono, perché sanno parlare bene e parlando ingannano. Non hanno capito che la croce del venerdì, quella che loro troppo spesso impongono sulle spalle degli altri non va venerata, ma combattuta.

È il segno del loro peccato e del peccato di chi li applaude e li sostiene. Forse non sanno che su quel legno è stato inchiodato un innocente condannato dal magistero ufficiale della sua religione e dall’autorità civile, perché nocivo al bene comune.

La croce non è da venerare, è da combattere! E invece è tragicamente una realtà voluta e cercata. La guerra non è più un tabù, ma pare l’unica soluzione; è ricominciata la corsa al riarmo, gli stranieri (tutti illegalmente presenti nell’Occidente ricco?) sono ammanettati, incatenati e riportati nei Paesi della loro fame. Ormai non si sentono nemmeno più le grida delle madri disperate che hanno visto uccidere senza pietà i loro bambini.

Abbiamo celebrato una “via crucis” in questa quaresima nella parrocchia di San Bernardo ascoltando la voce di Dio nella voce di medici, preti, volontari, genitori che hanno raccolto il grido di disperazione e le lacrime di chi è stato violentato e ridotto nella nuova schiavitù, voluta da un mondo che ha fatto della violenza e del guadagno l’unico Dio a cui obbedire. A immergerci in questa salutare realtà sono stati i volontari di “casa vite intrecciate” di Giustino.

Abbiamo visto Gesù nella concretezza della sua e nostra umanità, nella concretezza dei volti umani nei quali Dio si è fatto presente.

In Val di Sole è morto Andrea Papi, un giovane entusiasta della vita e del futuro, sbranato da un orso. Da un anno per lui si chiede giustizia, che vuol dire possibilità di una vita serena per le persone per le quali il bosco è vita. Ma non ci resta che attendere. Qualcuno sconsolato specifica: un altro morto. Questa è stata una grande tragedia. E mai, scriveva il vescovo Tonino Bello, di cui ricorre proprio nel giorno di Pasqua il trentaduesimo anno della sua morte, (20 aprile 1993), mai si può tacere davanti alle tragedie che travolgono donne e uomini nel mondo.

Ma chi oggi ha ancora il coraggio di alzare la voce, di gridare, di denunciare le tragedie che travolgono i poveri? Chi si ribella alla corsa agli armamenti e a quei ministri che definiscono i migranti «carichi residuali»? Chi si chiede come mai anche a Trento c’è un problema reale di sicurezza guardando alle politiche che si stanno portando avanti, alle scelte che i politici stanno proponendo e decidendo? Certo, scrivono e riscrivono “decreti sicurezza”, allungando la serie dei delitti e delle pene. Ma è un modo che non risolve il problema.

Inoltre mi verrebbe da chiedere: perché non cancellare il debito del Terzo mondo, che è solo una piccola parte di ciò che l’Occidente ha portato via a quelle terre e a quegli uomini? Tutto questo è venerdì santo, è la vita di un mondo dove la croce, il male assoluto, ha la meglio.

Ma allora dove sta la Pasqua? È nel Cristo risorto. Ma va ricordato che Lui c’è, ma non è qui, in questo mondo di morte, è altrove, è più avanti; non è nei cimiteri, è in giro per le strade, è a dissetare chi ha sete, ad accompagnare all’ospedale chi è malato, è nel cuore di tanti volontari, è in chi bussa alle nostre porte. Gli evangelisti non sanno come raccontare la risurrezione. E allora di Gesù dicono che si è «svegliato». «Non sanno come descriverla, e allora Luca, Marco e Matteo usano i verbi del mattino, quando riprendiamo vita, lavori, amori, gioie e fatiche. Si è svegliato. Svegliamoci da questa vita assopita!» (Enzo Bianchi)

L’ho incontrato questo Gesù nella vita di Sara Piffer, travolta e uccisa da un’automobile in contromano il 24 gennaio, nel suo entusiasmo sportivo, nel suo sapersi fermare a pregare, a vivere la solidarietà. L’ho visto nei suoi genitori e fratelli, che continuano a vivere sull’esempio della figlia e sorella concedendo il perdono. L’ho visto e sentito nella serenità degli anziani della casa di riposo, per i quali la vita è dono e dono è la loro presenza. L’ho incontrato nelle parole e nel sorriso di tanti ammalati che mi hanno detto, quasi sussurrato: ho vissuto finora, ho amato e faticato. Ho anche sbagliato. Adesso però so che dopo i miei giorni incontrerò tante persone care e sarò abbracciato da chi mi ha sempre amato.

 

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