MALÉ. “Il 70% delle persone, che sono qui in piazza questa sera, sono potenziali clienti per la prossima stagione estiva di escursioni in Himalaya. Con la logistica e i servizi che sono stati organizzati, moltissimi di voi possono benissimo arrivare in vetta anche se non sono alpinisti esperti”. Provoca, racconta la montagna, spiega come si è evoluto l’alpinismo, da quello eroico dei primi esploratori a quello più commerciale sulle rotte himalayane, e non si sottrae nemmeno alle domande più difficili, ad esempio, sulla recentissima polemica che ha investito il collega Marco Confortola, l'alpinista valtellinese accusato di non aver completato la conquista di tutti gli Ottomila del mondo, nonostante quanto da lui asserito.
Simone Moro, che venerdì sera (22 agosto 2025) è stato l’ospite d’onore della Settimana della Montagna, parla di sé, di come è diventato alpinista fino a diventare un punto di riferimento internazionale in questo settore, di come ha affrontato la sfida di diventare pilota di elicottero per istituire un servizio di soccorso sulla catena nepalese, ma soprattutto propone la sua visione della montagna, il suo approccio alla scalata e alla fatica, regalando al numerosissimo pubblico presente in piazza a Malé una lezione di umiltà e determinazione e ricordando che, a volte, il vero coraggio è saper rinunciare all’impresa. Un esempio capace di ispirare, emozionare e far riflettere.
“La montagna mi ha insegnato a non dare nulla per ovvio, mi ha mostrato il valore delle piccole cose: l’acqua, un letto confortevole, la famiglia, l’abbraccio di un amico... Chi oggi vuole fare dell’alpinismo esplorativo deve avere fantasia e curiosità per trovare nuove strade, vie non ancora battute – spiega, incalzato dalle domande di Sandro de Manincor -. L’alpinismo esplorativo sugli Ottomila non esiste più, è stato appeso al chiodo. Esiste un’industria turistica che permette a sempre più persone di arrivare al punto più alto del pianeta.
E se da un lato, è mortificante per chi pensa che quelle montagne siano un luogo destinato solo ai migliori, dall’altro questa fiumana di persone che, a ogni bella stagione, si riversa in Nepal ha trasformato un paese tra i più poveri del mondo in un posto ricco. Tutta questa gente ha anche dimostrato che questo tipo di impresa non è un’esplorazione, è un alpinismo da pista. Chi vuole fare alpinismo esplorativo deve innovare”. Come fece lui, inventandosi salite invernali dello Shisha Pangma, del Makalu, del Gasherbrum II e del Nanga Parbat.
Tuttavia, Moro aggiunge un’altra qualità imprescindibile per un aspirante alpinista: l’umiltà. “Non si deve fare alpinismo per un microfono o per rincorrere la fama – spiega -. Lo si deve praticare per trovare appagamento e divertimento in quello che si sta facendo. Si deve essere umili. E a volte, questo significa fare delle rinunce”. Racconta di quella volta in cui si trovò davanti alla decisione più difficile della sua carriera: era il 2008, e rinunciò a conquistare il Broad Peak, l’Ottomila pakistano che fino ad allora nessuno aveva mai raggiunto in inverno. “Sono a 7.845 metri di altitudine, a soli 198 metri dalla cima – narra -. Sono solo al Colle, io mi sento da dio, il meteo è perfetto. Da dove mi trovo, ci vogliono ancora due ore. Ho calcolato che sarei arrivato in cima intorno alle cinque del pomeriggio. Troppo tardi… Mi sono detto: se ci provo, questa è l’ultima scalata. Decido di tornare indietro. Fisicamente lo potevo fare, ma era troppo rischioso. Ma mi sono portato a casa la consapevolezza che ce la potevo fare”. È solo un appuntamento rinviato.
La posticipazione di un successo. Tre anni dopo, realizza la prima salita invernale del Gasherbrum II.
“L’ambizione è importante, ma non deve essere cieca”, afferma. Ecco che, quindi, la paura non è nemica, è una compagna che va ascoltata, decifrata “perché – aggiunge Moro – l’uomo è un formidabile costruttore di alibi”. È un’alleata che ti consente di diventare “un alpinista vecchio e bravo”.
“Fallire non è da sfigati. Noi tutti siamo un continuo cadere e rialzarsi” ribadisce Moro e lo fa in riferimento anche alla “polemica Confortola" e alla sua scelta di prendere posizione sulla vicenda. “L’esercizio della verità – spiega - è un dovere di tutti noi. In questo caso, non si è trattato di un’imboscata, non ho l’interesse di mortificare nessuno. Il mio è un attacco al baro, all’accettazione della menzogna. Spero che Marco torni su quelle montagne e dimostri una volta per tutte che è capace di conquistarle”.
Infine, con lo sguardo rivolto al futuro, Moro condivide i suoi prossimi obiettivi: “In autunno tornerò sul Manaslu. Voglio osservarlo da vicino, capire come sono cambiate le condizioni e prepararmi per affrontarlo in inverno. E poi ho un appuntamento con l’Everest”. Non sono altri record da inseguire, ma tappe di un percorso che lo ha plasmato. La montagna non è mai solo una meta, ma un luogo dove si misura la propria umanità, dove si impara a distinguere l’ambizione dalla vanità, che offre uno scopo a chi sa ascoltarla. “In montagna, io ho trovato la felicità” conclude infatti.
