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Zigià r come "n bègel

Sappiamo davvero cosa significa questa espressione?

Zigià r come "n bègel

Le ricerche e le scoperte spesso nascono dai dubbi e dalle contraddizioni, dalla necessità di far luce su una situazione che ci appare poco comprensibile. Ed è proprio così che è andata tra me e il bègel. Un giorno un amico mi ha chiesto: "Cos"è il bègel? E quale attributo ha: salà , amà r, dur..?" In quel momento mi sono resa conto che l"unico contesto in cui avessi già sentito il termine bègel era una canzone dialettale nella quale il cantautore, parlando ironicamente di Don Chisciotte e Sancio Panza, attribuiva a quest"ultimo un naso da bevitore "semper rós come "n beghjel".

Dopo una veloce controllata all"Atlante Linguistico ho risposto che questo bègel avrebbe dovuto essere una sorta di gufo, un rapace notturno. Ma quindi perché rós? E soprattutto perché tanti dicono "amà r come "n bègel"? Ho chiesto a vari amici e parenti dialettofoni e ho reperito, oltre ai due modi di dire che già conoscevo, anche le espressioni "zigiar come "n bègel", "begelà r/sbeglà r" (sia nel senso di "belare" riferito a pecore e capre, sia di "urlare fastidiosamente") e "begelòn" (persona che sbraita, che parla a vanvera).

L"Atlante Linguistico riporta per la zona delle Valli di Non e Sole tre possibili versioni dialettali della parola gufo/allocco/barbagianni: güfo, chjauraröl e bègel, usate alternativamente per definire un rapace notturno non meglio specificato.

Viene riportato inoltre, in nota, che il bègel grida durante la notte nei boschi e sulle montagne. A questo punto è il caso di approfondire l"origine di tutti questi termini. Il bègel sarebbe, secondo Enrico Quaresima, il gufo o l"allocco e il suo nome deriverebbe probabilmente dal verbo begelà r/ sbegelà r, belare, strillare. Il significato primario di questo verbo, originatosi dal latino belare, si è poi ampliato acquisendo il senso di strillare, riferibile sia a una persona, il begelón/ sbegelón ossia lo sbraitone, sia ad animali che emettono versi acuti e fastidiosi, come appunto i barbagianni e gli allocchi. Ecco perché si dice "zigià r come "n bègel"! Entrambi questi uccelli, inoltre, possono avere un manto rossiccio, che giustifica il modo di dire "rós come "n bègel".

Rimane più misteriosa l"espressione "amà r come "n bègel", della quale mi ha dato un"ipotetica spiegazione un anziano signore. Egli ritiene che il verso notturno di questi uccelli, acuto e inquietante, incuta un senso di circospezione e timore, quasi di amarezza; e da qui, secondo lui, potrebbe derivare il detto.

Il termine chjauraröl/ciüraröl, invece, tipico del dialetto di Rabbi, definisce sempre una sorta di uccello notturno e deriva dal latino caprarius con l"aggiunta del suffisso -iolo. Questo riferimento alle capre si ritrova anche nei vocaboli italiani utilizzati per definire tale uccello: "succiacapra" e "caprimulgo" (letteralmente "mungicapre"). Essi originano dalla credenza popolare che quest"uccello succhi le mammelle degli animali al pascolo, causandone la cecità . Caprimulgo a parte, si può dunque concludere che il bègel sia un rapace notturno, un allocco o forse un barbagianni, dal manto che tende al rossiccio e dal verso stridulo e fastidioso. Non ha nulla a che vedere con il verbo begiar, che declinato alla 2a persona singolare alla forma interrogativa diventa proprio "bègel?". Begiar fonda la sua origine nel gotico *bega, lite, termine presente anche in italiano.  

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