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L'inferno, il dramma di Dio

dom 06 ott 2024 08:10 • By: Renato Pellegrini

La minaccia, il terrore che ha accompagnato moltissime generazioni. Ma non è così

L’idea dell’inferno, la minaccia di finire nel fuoco per l’eternità è stato il terrore che ha accompagnato moltissime generazioni. Non voglio giudicare il passato, mi sembra tuttavia intollerabile che una sana teologia oggi possa continuare su questi toni e che ci sia ancora, anche se rara, una predicazione che non tiene conto della dignità degli ascoltatori attuali, formati da una nuova e lunga tradizione di libertà e tolleranza. L’inferno è davvero il castigo che Dio infligge ai cattivi?

Chiediamoci che immagine di Dio emerge da simili convinzioni: un essere interessato, pronto a punire chi non gli rende il “servizio” dovuto, un giudice senza pietà che non lascia scampo al colpevole. In altre parole ci troveremo di fronte non a un Padre, ma a un tiranno che non lascia altra alternativa che obbedirgli senza discutere e magari anche senza pensare, o esporsi alla sua ira che è per sempre.

C’è stato chi, leggendo alcuni passi della Bibbia e interpretandoli letteralmente, ha addirittura parlato di predestinazione all’inferno. A dare una mano a queste farneticazioni ci hanno pensato autori di grandissima statura, come ad esempio Sant’Agostino, secondo il quale Dio destina solo alcuni alla salvezza mentre lascia altri, massa dannata, alla dannazione eterna. La loro colpa? Il peccato di Adamo!

Per fortuna questa dottrina, che «parte da un’idea di Dio che fa rabbrividire», (Berthold Altaner) non è mai stata pienamente accolta nella Chiesa, anche se indubbiamente ne ha condizionato l’annuncio. Quante volte tutti ci siamo sentiti minacciare di andare all’inferno, di essere puniti da Dio che vede tutto.

Negli ultimi tempi questo modo di ragionare e di rapportarsi è svanito, fa sorridere, forse anche perché l’idea stessa di Dio ha perso il suo fascino.

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Anche nel passato tuttavia, questo modo di pensare è stato un motivo sufficiente per ripudiare la fede.

C’è stato chi ha rifiutato come inaccettabile un castigo eterno per offese limitate da parte di una creatura fragile, un castigo che «non serve a nulla dato che accade quando tutta la scena si è conclusa». (Hume) Queste sono senz’altro obiezioni schematiche, ma anziché protestare e rifiutarle categoricamente, sarebbe opportuno accogliere qualche nota positiva che contengono.

Prima di tutto che Gesù ci ha fatto conoscere un Padre (non un giudice) che non desidera condanne e castighi, ma che soffre quando non può evitarle. A me pare che questo sia evidente: Dio ci ha creati e crea ogni cosa per la nostra felicità, per comunicarci il suo amore e la sua salvezza, cercando solo la nostra realizzazione. Tutto questo mi pare ovvio, ma è rimasto per tantissimo tempo nascosto, anzi soffocato da logiche estranee al Vangelo. In una famiglia se un figlio sbaglia, lo condanneranno subito o piuttosto non cercheranno di dargli quei consigli e quegli aiuti (magari anche dolorosi) perché ritrovi la serenità e le forse per continuare a vivere secondo i suoi desideri?

Se questo è vero, dobbiamo pensare che tutto ciò che Dio fa è indirizzato alla salvezza. È sufficiente osservare l’atteggiamento di Gesù con i peccatori, o semplicemente leggere con cuore sgombra da pregiudizi o da un modo molto, anzi solo umano di vedere le cose, la parabola del figlio prodigo, anzi del Padre buono e capace di perdonare, come sarebbe meglio chiamarla.

San Paolo lo aveva compreso perfettamente: «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci darà ogni cosa insieme con Lui? Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? … Chi condannerà? Cristo Gesù che è morto, anzi che è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi?» (Lettera ai Romani 8,31-34).

Hans Urs von Balthassar, uno dei maggiori teologi del secolo scorso, non esagerava, quando guardando a un certo modo di disegnare l’inferno definì la situazione «una sconfitta per l’uomo, che può rendere vano il senso della sua esistenza», ma anche «una sconfitta di Dio, che fallisce nella propria opera di salvezza». (Teodrammatica, V, Jaca Book).

Vorrei concludere questa breve e del tutto insufficiente riflessione sull’inferno, ricordando che è un orrore «strumentalizzare consapevolmente la “paura del castigo di Dio”, per controllare le coscienze, rafforzare un’educazione autoritaria o porre le istituzioni al riparo di ogni critica». (Andrés Torres Queiruga).

Quando succede questo, non c’è dubbio che ci si trova di fronte a una psicologia malata e una visione di Dio avvilente. Stiamo dunque attenti davanti a un “imbarbarimento moraleggiante” di predicazioni e pretese visioni che vanno da Beda il Venerabile al purgatorio di San Patrizio…” (Vorglimmer, Storia dell’inferno) che finiscono per rafforzare una visione tenebrosa, in una specie di cronaca degli orrori o in un museo di atrocità. Purtroppo l’idea dell’inferno è diventata il terrore di generazioni di credenti, ha cancellato l’idea di Dio rivelataci da Gesù, che qui sembra «gioire per le pene dei dannati e per l’ordine della sua giustizia, che esige questo». È bene per noi, invece, pensare che «la redenzione rimane un’offerta di salvezza che spetta all’uomo accogliere in libertà». (Giovanni Paolo II, Catechesi sull’inferno, 28 luglio 1999).



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