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Ama il prossimo tuo come te stesso

dom 20 ott 2024 16:10 • By: Renato Pellegrini

Il prossimo non è la persona che conosci, che ti sta vicina, di cui sei amico. No, il prossimo a cui sei invitato a fare del bene è lo sconosciuto, il lontano, lo straniero

Non ho dubbi: con queste parole Gesù scandalizza anche i cristiani. Chi conosce solo un poco la Bibbia sa che questo comandamento è presente anche nell’Antico Testamento, nel libro del Levitico al capitolo 19: «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lv 19,18).

Poco più avanti questo precetto fondamentale diventa ancora più radicale, perché spiega in maniera molto chiara chi è il prossimo: «Lo straniero che risiede con voi sia per voi come chi è nato tra voi. Lo amerai come te stesso, perché anche voi foste forestieri in terra d’Egitto» (Lv. 19,34).

Il prossimo, dunque, non è la persona che conosci, che ti sta vicina, di cui sei amico. No, il prossimo a cui sei invitato a fare del bene è lo sconosciuto, il lontano, lo straniero.

È quanto ribadisce Gesù con la parabola del buon samaritano, dove addirittura il nemico diventa il tuo prossimo. Gesù interpreta le parole del Levitico in un modo che potremmo definire “rivoluzionario”. Anzitutto mette in evidenza che devo cominciare ad amare me stesso, come se anche in me ci fosse una parte che non conosco bene, che mi è estranea. Se non amo me stesso, non sarò mai capace di amare il prossimo, che per Gesù, va sottolineato, non va confuso con il simile, con l’eguale.

È vero il contrario. Gesù lo ribadisce quando, parlando ai discepoli, spiega: «A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l'altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica.

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Dà a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro. Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell'Altissimo…». (Lc 6, 27ss).

Recalcati ci aiuta anche a fare un passo avanti: leggendo la Bibbia possiamo notare che l’odio si accompagna con l’amore, anche con l’amore fraterno. L’esempio che ci verrà subito alla mente è la vicenda di Caino e Abele, dove il fratello è visto e vissuto come intruso e usurpatore. La condivisione diventa impossibile, perché l’altro non è mai a mia disposizione. Si possono ricordare anche le storie di Esaù e Giacobbe, di Giuseppe e i suoi fratelli. Insegnano che la guerra si scatena sempre a partire da un sentimento di violazione dei propri confini, di quello che credo mio, che non debbo condividere.

Si illude chi pensa che una convivenza felice, senza o con pochi problemi, possa fondarsi sul sangue e sull’abitare una stessa nazione. Sono illusioni pericolose, «come ha mostrato in modo terrificante la stagione dei totalitarismi del Novecento».

Si sente dire spesso che non possiamo amare chi non corrisponde all’amore che doniamo, o forse crediamo di donare. E anche qui l’insegnamento di Gesù rovescia il nostro modo di vedere: l’atto d’amore è sempre a fondo perduto. «Non si realizza nel suo essere ricambiato, ma nel suo spendersi senza misura, illimitatamente, senza interessi».  

Queste proposte non sono facilmente realizzabili, indicano una strada, accendono una luce, fioca, nelle tenebre di un mondo che non sa amare. Ma dovremmo lasciarci interrogare da questa parola, anche e soprattutto in un tempo in cui la povertà non è più “monopolio” di clochard e disoccupati ma colpisce anche chi un’occupazione ce l’ha, chi sente il peso dell’inflazione, assieme ai bassi salari e ai minori aiuti e trasferimenti pubblici. Ci sono ancora gli spiazzati dalla vita, i malati, «i ‘difficili’ che hanno bisogno di una compagnia come companatico essenziale», come li descrive Francesco Riccardi sulle colonne di Avvenire.  Cosa possiamo fare con le famiglie di origine straniera venute qui per lavorare ma che non guadagnano abbastanza e con i giovani che hanno abbandonato la scuola e oggi vivono lavori assolutamente precari?

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato che certe condizioni riguardano italiani e immigrati «sovente esposti a uno sfruttamento spietato, inconciliabile con la nostra civiltà».

Un’ultima domanda mi scaraventa addosso il precetto di Gesù: se comincio ad amare come posso chiudere gli occhi davanti a chi soffre? Come posso pensare “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”? Sono domande senza risposta. Ma leggendo la parola di Gesù, le domande diventano più importanti delle risposte.



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