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Vita o morte del Cristianesimo?

dom 01 dic 2024 09:12 • By: Renato Pellegrini

Il futuro oggi si gioca fuori delle chiese. È l’ospedale da campo che chiede Papa Francesco. La riflessione domenicale

La ricerca curata per il Censis da Giulio De Rita suscita una riflessione urgente e pone domande alle quali è importante rispondere.

Oggi prendo lo spunto da un’intervista da lui rilasciata all’Osservatore Romano del 26 novembre 2024. La fotografia tracciata dal Censis sullo stato della Chiesa italiana non lascia intravedere colori brillanti; pare sfuocata se non addirittura con vaste aree cancellate.

La vita cristiana è decisamente cambiata rispetto ai decenni passati. Oggi possiamo constatare che gli italiani vivono un cristianesimo stanco, senza slanci o entusiasmi: vanno poco in chiesa, non sono attivi in parrocchia, non condividono diversi dogmi, non seguono i principi morali indicati dalla Chiesa. 

In altre parole i cattolici, come potevamo incontrarli qualche tempo fa, sono rimasti in pochi e sentono il peso di un avvenire incerto, confuso.

E tuttavia, se li guardiamo da un altro punto di vista, quello cioè di coloro che si definiscono cattolici, che hanno ancora sentimenti cattolici, che pregano almeno qualche volta, nelle difficoltà, che sanno fare il segno della croce, allora sono un numero consistente. A molti di loro stanno a cuore i simboli della chiesa cattolica che esprimono una fede identitaria.

«In qualche modo questa penso che sia anche una scelta necessaria e di convenienza, perché in fondo non c’è gran che altro nella società attuale. Se a questo paese togli anche il riferimento al cattolicesimo non rimane nient’altro». (G. De Rita, L’osservatore romano)

Dunque possiamo in qualche modo essere rassicurati perché una Chiesa c’è ancora? Anzitutto dobbiamo ammettere che ha bisogno di essere rianimata, arricchita di nuovi spunti. Resiste, tuttavia, non è stata travolta dal secolarismo o dall’indifferenza dilagante.

Graziadei marzo 2025

Ma cosa avverrà in un domani non troppo lontano, quando saranno i giovani a subentrare agli adulti? Le percentuali attuali di chi si richiama al cristianesimo scenderanno di 20 punti, o forse più. «C’è una “zona grigia” che sta evaporando e a chi resta non sarà possibile riportarla agli schemi di adesione ecclesiale del passato».

Come prete e parroco mi chiedo anche cosa avverrà della celebrazione della messa domenicale o festiva. Ho letto qualche anno fa le considerazioni di un cristiano serio: diceva che Gesù ha celebrato una sola messa nella sua vita, l’ultima cena, girando invece ogni giorno a cercare e guarire chi era sofferente.

È facile tuttavia ribattere che ogni sabato era solito andare in sinagoga. Quello che ritengo importante è la responsabilità e uno sforzo creativo che ciascuno deve assumere.

Gesù, nel Vangelo, ci può dare una mano, insegnandoci proprio a investire in umanità. È l’uomo che va preso in grande cura prima di voler percorrere la via che si apre sul mistero. Dio è presenza indistruttibile per l’umanità, anche se dovremmo abbandonare l’idea che la gente torni in chiesa, magari per la nostra bella testimonianza: ci si è convinti che la salvezza non si realizza attraverso la sola partecipazione ecclesiale, ma facendo del bene, impegnandosi per un mondo più abitabile, rispettando il nostro pianeta malato.

Ed è su questo terreno che può entrare in gioco la parola di Gesù, il suo insegnamento. Oggi noi ci dovremmo rendere conto che in troppi casi viviamo un cattolicesimo soprattutto “devozionale”, che secondo De Rita, «rischia di refluire lungo il crinale del fatalismo se non della superstizione».

Nei decenni passati abbiamo insistito molto sull’importanza di conoscere il fatto religioso, il vangelo, le preghiere (cose sacrosante) lasciando perdere la dimensione emozionale. Ma la fede è prima di tutto una cosa che si deve capire, imparare, quindi studiare?

Qui andrebbe rivista globalmente la catechesi e il modo di portarla avanti, per capire che far parte della chiesa è prima di tutto partecipare. Già S. Ignazio diceva che è l’emozione che porta a Dio. Poi c’è la comprensione e il discernimento. Non a caso il magistero di papa Francesco tiene presenti entrambi i livelli, l’emozione e la concettualizzazione.

Tutto questo porta a farci uscire dalla logica del praticante e non praticante, di chi va ogni domenica a messa, di chi ci va ogni tanto e di chi non ci va affatto. Non è lecito a nessuno indagare e giudicare la fede dell’altro; lasciamo agire Dio: è Lui che salva e non le nostre per quanto raffinate attività pastorali. 

«Noi dobbiamo annunciare la possibilità di salvezza dall’alienazione della vita mondana e dalla finitudine, che è data dalla Parola di Gesù. Quello che poi questo suscita nell’intimo delle persone prescinde dalla partecipazione alla vita ecclesiale». (G. De Rita).

Invertire l’orientamento da una chiesa dei numeri ad una chiesa che si fa sale della terra e luce del mondo, che agisce come il buon samaritano, che fa festa per la moneta o la pecora ritrovata «una chiesa che va alla ricerca di quel 40% che si dice cattolico ma non viene — e non verrà — in chiesa, richiede un modo di pensare ed agire completamente nuovo. Ma i preti non sono preparati a questo. Non sono stati formati a questo. Fanno un gran lavoro dentro le chiese. Ma il futuro oggi si gioca fuori delle chiese. È l’ospedale da campo che chiede Papa Francesco». (G. De Rita)

 



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