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Presepi, alberi di Natale, corone d’avvento

dom 08 dic 2024 11:12 • By: Renato Pellegrini

Come sono nati i simboli delle festività natalizie

Può darsi addirittura che nessuno conosca come è nata la tradizione dei presepi, a chi ne è fatta risalire normalmente l’invenzione, quale è stato per secoli il significato autentico. Ma tant’è.

Oggi ciò che importa è costruire presepi dappertutto, nelle chiese e nelle case, sulle strade e nelle piazze. È diventato un ornamento che richiama al Natale, una festa -ha scritto qualcuno- tra le più ambigue, «imbastarditasi dall’incesto tra regime di cristianità e ragioni commerciali» (don Augusto Fontana). Il linguaggio è duro, ma dice con chiarezza che il nostro tempo non sa attendere niente o quasi niente. Cosa può significare aspettare Gesù? Non è già nato? Non ne conosciamo tutta la storia? E cosa dovrebbe tornare a fare? Come si possono movimentare attese profonde se non si ha il coraggio di introdurre «significative obiezioni di coscienze e inversioni di rotta personali?»

Ai tempi in cui studiavo teologia si raccontava una storia significativa, che dovrebbe far riflettere anche oggi. Secondo questo racconto i rabbini ogni mattina, appena alzati, aprivano la finestra e davano un attento sguardo al mondo. Sconsolati la richiudevano sussurrando malinconicamente: «No! Il Messia non è ancora venuto. Il mondo è sempre uguale». Oggi non è così, perché non si pensa affatto che Gesù possa cambiare il mondo, quindi non serve nessun’attesa vigilante; c’è solo il correre verso un’ubriacatura generale.

Una tradizione racconta che il primo presepe è stato inventato e fatto da San Francesco a Greccio, in Umbria. Fu il primo presepe vivente. Francesco «volle rappresentare il Bambino nato a Betlemme e in qualche modo vedere i disagi in cui si è trovato per la mancanza di ogni cosa necessaria a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello» (Tommaso da Celano, Vita Prima, 84; Fonti francescane n.

Graziadei marzo 2025

468). Francesco non lo ripropose più. Certamente anche oggi il presepe è una «libera ricostruzione delle atmosfere di Betlemme sempre più contaminate, però, da oggetti e personaggi del tutto incoerenti» (Paolo Naso, Riforma, 6 dicembre 2024). E così i personaggi più diversi, da protagonisti dello sport a star dello spettacolo, trovano il loro posto tra i pastorelli e il loro gregge. Quest’anno ci potrebbe stare Jannik Sinner.

La sensibilità protestante, che non ha mai particolarmente amato le immagini, perché rischiano di diventare esse stesse oggetto di un culto che va reso solo a Dio, preferisce l’albero di Natale. A decorarne uno fu tra i primi Lutero proprio nel periodo natalizio, riprendendo però una pratica preesistente. L’origine dell’albero di Natale è infatti avvolta da moltissimi racconti e leggende che variano a seconda delle tradizioni locali. Una delle più conosciute vede al centro la figura di San Bonifacio, un monaco cristiano vissuto nel VII secolo. Si racconta che il Santo, durante una sua missione in Germania, si sia imbattuto in una comunità pagana che adorava una quercia (simbolo del Dio Thor). Bonifacio voleva dimostrare la superiorità del cristianesimo e per farlo avrebbe abbattuto la quercia con un colpo d’ascia: al suo posto sarebbe cresciuto miracolosamente un abete, un albero sempreverde che simboleggiava l’eternità di Cristo e la fede nel Dio cristiano, che è stato in seguito considerato sacro. Il primo elemento addobbato di cui si ha notizia risale al 1510 in Lettonia, a Riga, dove è stato decorato pubblicamente nella piazza centrale. Da quel momento ha preso vita la tradizione e le famiglie di nobili prima, e poi anche di meno abbienti, hanno iniziato ad adottarla durante il periodo delle feste.

Più coerentemente protestante è il calendario dell’Avvento, costruito con delle caselle giornaliere che contengono un piccolo dolciume e una riflessione: è l’invito ad avvicinarsi gradatamente al giorno della nascita di Gesù. Nelle nostre chiese è possibile ammirare anche la corona d’Avvento: una ghirlanda che sorregge quattro candele, da accendere una ogni domenica d’avvento. Il messaggio è semplice e subito intuibile: la gioia dell’attesa di un giorno speciale.

Ora possiamo porci una domanda: dove vanno esposti questi simboli religiosi che per i cristiani indicano un percorso per giungere a festeggiare il Natale con una fede professata e vissuta? Ogni anno qualche polemica scuote anime belle, che non possono tollerare le proteste di qualcuno perché si tolgano questi segni della fede dalle scuole, dagli ospedali o dalle piazze. E naturalmente fa comodo prendersela con quei cattivi emigranti islamici o simili che vorrebbero cancellare le nostre tradizioni. Mi permetto di dire che è la nostra debolissima fede cristiana che fa confusione. Prima di tutto perché quel Bambino che nasce ci ha insegnato a mettere al primo posto il rispetto e l’amore per tutti, anche per i nemici. E in ogni modo non è affatto dimostrato che siano i mussulmani a non volere il presepe. Nel Corano si racconta la nascita di Gesù in modo miracoloso e lo si considera un profeta inviato da Dio. Si dice che è nato da Maria, una ragazza vergine a cui un angelo annuncia che sarebbe diventata madre (Si vedano i capitoli (Sura) 19 e 3 del Corano). Ci può purtroppo essere qualche fanatismo. A me pare che l’Italia delle tante religioni e culture «di tutto ha bisogno tranne che di una guerra del presepe o dell’albero di Natale: simboli e tradizioni non possono essere branditi come clave di una presunta identità culturale ma vivono e hanno senso soltanto nella coscienza di chi ricorda con gioia la nascita di Gesù». (P. Naso)

 

 



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