dom 02 feb 2025 10:02 • By: Renato Pellegrini
Di Dio è molto più quello che non sappiamo che quello che conosciamo. La riflessione domenicale
C’è chi pensa o è certo che la religione abbia fatto il suo tempo, sia muta per troppi uomini e donne, anche se si professano credenti. Questa convinzione non nasce per caso, non è di chi è contrario a ogni credo. Porto come esempio una citazione che traggo da un lungo articolo di Maria Lopez Vigil: «Tutte le religioni del mondo, proprio tutte, hanno qualcosa in comune: tutte affermano di essere la vera religione e si gloriano del fatto che le loro divinità sono le più potenti. Tutte si basano su credenze, riti, comandamenti e mediatori. La maggior parte dei comandamenti imposti è data da divieti: quello che non si può fare, quello che non si può pensare, quello che non si può dire. E i mediatori che dominano le religioni sono i più vari: libri, luoghi, tempi e oggetti sacri e, soprattutto, persone sacre a cui bisogna credere, obbedire e rendere onore».
In questo articolo sostiene che, stiamo cancellando o forse solo superando la religione, stiamo arrivando alla sua fine, perché anch’essa fa parte dell’evoluzione umana e, così come ci è stata tramandata, è insignificante. Succede infatti che troppo spesso dia risposte a domande non poste, cioè quelle più vere e più profonde che oggi molte donne e molti uomini si pongono.
Tutti abbiamo creduto che la “nostra” sia la religione più bella, l’unica vera, come leggiamo nelle riflessioni sopra esposte. Oggi però anche tra i credenti si fa strada il dubbio legittimo che non sia così, perché siamo tutti (o quasi) disposti ad ammettere che Dio si rivela, si manifesta, si fa conoscere anche nelle religioni degli altri. Persino in quelle che chiamiamo pagane.
Stiamo scoprendo, che di Dio è molto più quello che non sappiamo che quello che conosciamo. Affermare di sapere tutto di Dio è affermare di esserne i padroni, di averlo sempre dalla propria parte, in qualunque momento, qualunque sia la decisione che si assume.
Anche se si è “carnefici” dei più deboli. Ciò che è urgente per i cattolici è riscoprire la Parola di Gesù, prendere sul serio il suo comportamento.
Io sento continuamente obiezioni circa certi dogmi, che risultano assolutamente incomprensibili; hanno senso se inseriti e compresi nella “storia” che li ha formulati. Cosa significa ad esempio che il papa è infallibile? Hans Kung sull’argomento ha scritto un libro, dove già il titolo si pone come domanda. E cosa vuole insegnare il “peccato originale”? È forse da prendere alla lettera il racconto di Adamo ed Eva? Sarà pur giunto il momento di chiarire che si tratta di un mito, non di storia, di un modo con cui gli ebrei spiegavano l’origine del male nel mondo. È sempre facile fare di Dio un idolo a nostra disposizione. Io sono convinto che troppo spesso più che il Nuovo testamento è stata la parola dei rabbini o dell’Antico testamento a guidare la Chiesa cattolica. Perché Dio non è legge, ma «se Dio c’è, è bellezza. Lo sperpero di bellezza della Natura - le stelle del cielo, gli occhi dei cani, la forma delle foglie, il volo degli uccelli, i colori e le loro sfumature, il mare - tutta questa incommensurabile e sempre sorprendente lista di cose belle… questa bellezza che io non posso né abbracciare né intendere, che abbaglia occhi e mente, che la scienza ci svela e ci spiega, sento che ha “la firma” di Dio. Nel fondo di tutta la bellezza che vedo in tutto ciò che esiste io sento Dio. Se Dio c’è, è gioia. Nella festa, nella musica e nel ballo, nelle forme indefinibili che adotta la gioia quando è profonda, nella parola, nella compagnia, nella celebrazione, nei successi, nello sforzo creativo, e soprattutto nelle risate e nei sorrisi della gente, io sento che Dio è più vicino che mai. Se Dio c’è, è anche giustizia. È la giustizia che la storia che conosco e in cui vivo non ha garantito mai alle persone buone. Che non ha garantito a quel contadino povero e analfabeta che definì la fede come «un amore» (M. Lopez Vigil in “Beati gli atei perché incontreranno Dio”, Adista).
La religione è stupore, è festa di un incontro sorprendente con quel Dio che è forza nelle decisioni e sostegno nella sofferenza. La fede cristiana è ricerca di una nuova umanità, è un futuro dove tutti godono la stessa dignità, dove Dio è presenza viva in tutti. La parola di Gesù, infatti, è una risposta di Dio alle ferite umane, alle vittime di tutte le sopraffazioni. In questo anno santo, in questo giubileo, occorre riascoltare una parola di speranza e di vita: «dinanzi agli indebiti espropri coloniali: “ciascuno tornerà nella sua proprietà”; dinanzi alle rapine finanziarie: “Se il tuo fratello che è presso di te cade in miseria ed è inadempiente verso di te (…) temi il tuo Dio e fa’ vivere il tuo fratello presso di te. Non gli presterai il denaro a interesse, né gli darai il vitto a usura”; e tutto ciò “perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti” dice il Signore! (Lv 25,10.13. 35-37.23). Un giubileo, un “anno di grazia” che Gesù non si limita più ad annunciare ma che inizia a realizzare: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura”». (Lc 4,19.21). Dall’ascolto della Parola potrà tornare il coraggio dei cristiani che, «all’inizio, non temevano di pagare un prezzo sociale, economico, umano a causa dell’autenticità della loro fede». (Rosanna Virgili).