mer 05 feb 2025 11:02 • Dalla redazione
Coldiretti chiede di garantire la reciprocità
TRENTO. Con l’aumento del 30% degli allarmi alimentari relativo alla frutta e alla verdura straniere occorre far valere il principio di reciprocità negli scambi commerciali, sia a livello comunitario che extra Ue, per tutelare la salute dei consumatori e l’attività degli agricoltori italiani dalla concorrenza sleale. È quanto emerge da una analisi della Coldiretti su dati Rasff diffusa in vista del salone Fruit Logistica di Berlino, il più importante appuntamento europeo per il settore.
“A Berlino ribadiamo la forza dell’ortofrutta italiana, fulcro della dieta mediterranea, che si basa sulle eccezionali qualità e sulla distintività delle nostre produzioni - dichiara il presidente di Coldiretti Trentino Alto Adige Gianluca Barbacovi -. Quest’anno abbiamo raggiunto i 12,5 miliardi di export ortofrutticolo tra fresco e trasformato, ma servono misure strutturali per sostenere i nostri produttori. Oggi paradossalmente il problema numero uno è riuscire a realizzare il potenziamento produttivo delle singole colture, ancora prima che vendere. Non possiamo più tollerare che ci siano disparità all’interno dell’Unione Europea sui fitofarmaci autorizzati. Allo stesso tempo dobbiamo favorire campagne per il consumo di frutta e verdura e per trasformare le mense scolastiche in spazi di educazione alimentare dove promuovere davvero la dieta mediterranea e arrivare ad una promozione istituzionale sui canali digitali e media tradizionali”.
Nel 2024 sono scoppiati 165 allarmi relativi ai prodotti
ortofrutticoli arrivati in Italia, comprese spezie e frutta secca, contro i 115
registrati nell’anno precedente. Si va dai kiwi argentini ai cachi spagnoli,
dai pistacchi iraniani o turchi alle aflatossine alle cipolline e ai fagioli
egiziani, dai funghi cinesi ai mirtilli tedeschi., tutti bloccati a causa di
problemi che vanno dalla presenza oltre i limiti di pesticidi, molti dei quali
vietati in Europa, a quella di Aflatossine, fino a batteri e metalli
pesanti.
La conferma del fatto che in molti paesi, dall’Africa al Sudamerica fino
all’Asia, è permesso l’uso di pesticidi pericolosi per la salute che sono stati
banditi nell’Unione Europea spesso da decenni, senza dimenticare il fatto che
le coltivazioni sono realizzate in condizioni di dumping sociale per il basso
costo della manodopera. Un fattore che va tenuto in considerazione nella
stipula degli accordi commerciali che, in assenza dell’applicazione del
principio di reciprocità, finiscono per danneggiare aziende agricole e
cittadini, come nel caso del Mercosur. Coldiretti è assolutamente favorevole
agli scambi internazionali e punta a una continua crescita delle esportazioni.
Tuttavia, mentre le nostre aziende sono tenute a rispettare rigorosi obblighi
quando esportano, non si comprende perché l’Europa non applichi gli stessi
criteri.
Occorre anche armonizzare il sistema relativo all’uso di fitosanitari
all’interno dei Paesi Ue, attualmente inadeguata a garantire agli agricoltori
italiani parità di regole rispetto agli altri. Un problema che ha concorso a
ridurre fortemente il potenziale produttivo favorendo chi può contare su costi
di produzione più bassi e utilizza pesticidi da noi vietati. L’Italia è così
passata da essere un paese esportatore ad avere un saldo in volumi negativo,
importando più ortofrutta di quella venduta all’estero.
Spesso, peraltro, i frutticoltori nazionali si trovano nell’impossibilità di
difendere i propri raccolti a causa della mancanza di sostanze fitosanitarie
adeguate (in Italia l’utilizzo di fitofarmaci, si è ridotto del 50% negli
ultimi 30 anni e i prodotti utilizzati sono passati da oltre un migliaio a
circa 300), mentre tardano ad essere rese disponibili le Tea, le nuove
tecnologie non Ogm per il miglioramento genetico.
Serve difendere un settore ortofrutticolo nazionale che garantisce all’Italia
440mila posti di lavoro, pari ad oltre il 40% del totale in agricoltura, con un
fatturato di 15 miliardi di euro all’anno tra fresco e trasformato, il 25%
della produzione agricola totale, grazie all’attività di oltre 300mila aziende
agricole che sono oggi a rischio, a causa di prezzi troppo bassi che non
coprono i costi di produzione.