Pochi mesi dopo la fine della Seconda guerra mondiale veniva firmata la Carta dell’Onu, che cominciava con queste parole di speranza: «Noi popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dai flagelli della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili sofferenze all’umanità…»
Ma oggi, 80 anni dopo la distruzione causata dallo scoppio delle bombe atomiche ad Hiroshima e Nagasaki, dopo milioni di morti, la guerra è ancora considerata un flagello? O forse ci stiamo abituando a considerarla un male necessario o, un’opportunità?
È ripresa alla grande la corsa al riarmo, scelta dettata, secondo una certa politica, per potersi difendere, non restare inermi di fronte a terrorismo e appetiti di conquista di non si sa bene chi. Certo è che i soldi per le armi si trovano sempre. Mancano per la sanità ad esempio, mancano per i quasi sei milioni di persone che in Italia vivono in povertà assoluta e rinunciano a curarsi. Chi ha il coraggio di opporsi a questa mentalità è considerato un illuso, un irenista incapace di costruire la difesa insieme agli altri popoli dell’Europa.
Sono ormai lontane le parole di papa Francesco rivolte al corpo diplomatico l’8 gennaio 2024: «Le guerre moderne non si svolgono più solo su campi di battaglia delimitati, né riguardano solamente i soldati (….) Non c’è conflitto che non finisca in qualche modo per colpire indiscriminatamente la popolazione civile.
Gli avvenimenti in Ucraina e a Gaza ne sono la prova evidente».
Gli sforzi della diplomazia, quando ci sono, sono timidi e incerti. È sicuramente necessario e giusto difendere a spada tratta chi, come Israele combatte il terrorismo. È necessario però chiedersi se sono terroristi anche i neonati, le donne incinte, i malati negli ospedali… Non ho dubbi che i terroristi di Hamas vadano combattuti senza se e senza ma. Ma non ho dubbi nemmeno sul fatto che un governo, anche se legittimamente eletto, possa sterminare un popolo. C’è chi vede nella guerra un’opportunità per l’economia: solo la corsa agli armamenti può salvare l’economia europea.
«Un massiccio rafforzamento militare in tutta Europa potrebbe ottenere ciò che i governi non sono riusciti a fare negli anni, vale a dire dare una scossa a un’economia stagnante». C’è poi chi deride coloro che manifestano contro la guerra: «Fuori la guerra dalla storia è lo slogan più stupido di sempre». A questo punto occorre chiedersi se coloro che «siedono nel Parlamento europeo, eccezion fatta per i pochi che hanno votato contro la risoluzione bellicista ipocritamente chiamata “difesa” e “sicurezza”, avranno ancora il coraggio di parlare delle “radici cristiane” dell’Europa. Non sarebbe più coerente restituire a Oslo il Nobel per la pace attribuito all’Europa il 10 dicembre 2012?» (Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax Christi).
I propositi bellicisti continuano. Sembra davvero necessario giungere a una situazione di pace preparando la guerra. Il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha spiegato l’importanza di cancellare ogni limitazione alla gittata delle armi vendute all’Ucraina per allinearsi alle scelte degli altri partner europei. E la presidente della Commissione Ursula von der Leyen non perde occasione per ribadire che «tempi eccezionali richiedono misure eccezionali» e che dunque occorre reagire all’offensiva del nemico. Così pensano i politici.
Tanta gente comune, invece, vorrebbe che si usasse maggior prudenza anche nel linguaggio. A cosa serve applaudire «alla pace disarmata e disarmante» di papa Leone XIV se poi si procede in direzione contraria? Occorre dar voce e ascoltare chi opera negli scenari di guerra per far tacere le armi. Solo allora si arriverebbe a capire che il disarmo, come diceva papa Francesco «è prima di tutto un dovere, un dovere morale».
Ai cristiani, tante volte silenziosi, è arrivato nel tempo pasquale il saluto di Gesù risorto: «La pace sia con voi», un invito a essere profeti, a gridare senza stancarsi che chi vuole la pace deve preparare la pace.
