Cultura Val di Non

Ai Pradiei una camminata contro la violenza sulle donne

Riceviamo e pubblichiamo un commento all'iniziativa di Carla Podetti

Ai Pradiei una camminata contro la violenza sulle donne

Oggi, 25 novembre, si celebra la Giornata per l’eliminazione della violenza sulle donne. Riceviamo e pubblichiamo il seguente contributo di Carla Podetti, dedicato alla camminata rumorosa tenutasi ai Pradiei la scorsa domenica 23 novembre.


Che dire della camminata contro la violenza sulle donne, ai Pradiei dell’Alta Val di Non, di domenica 23 novembre, cui hanno partecipato circa 150 persone?

Si è trattato di attraversare insieme territori e ascoltare “tracce di violenza” (Gruppo La voce per dirlo), frammenti che accendono pensieri, esperienze tratte da altri, riflessioni di genitori, proposte del collettivo femminista Justine-Wamp.

I pensieri fatti in gruppo (La voce) per preparare una narrazione semplice ed efficace cominciano scegliendo di dare voce a ciò che le donne incassano, vivono, non osano portare alla luce del sole o hanno bisogno della forza di molti, per essere ascoltate. Sono elementi che rimandano all’esercizio del controllo, alla prevaricazione su di loro, alla volontà di sottometterle: lì si annidano elementi di violenza. E lo si vede nelle relazioni affettive, nei rapporti di lavoro, nell’esercizio della giustizia e nelle sentenze, nel modo di scrivere i titoli di giornale o nei contenuti dei libri di scuola. In ciò che c’è o in ciò che è omesso.

È interessante allora mettere in luce alcuni tasselli che sono stati oggetto di limature e riformulazioni nella preparazione della narrazione: ragionare sugli inciampi dice di più del testo stesso.

Il titolo in bozza era “radici della violenza”, ciò che la nutre nel prima, ciò che accade mentre viene esercitata, ciò che è violento nel dopo, o che può essere fatto rinascere. La metafora delle radici rimanda a qualcosa che sta nella natura (umana), che fa crescere, germogliare: per quanto una pianta possa essere velenosa, è la sua genetica a parlare per lei.

Per quanto la pianta sia velenosa, può avere delle funzioni terapeutiche. Niente di tutto ciò nella violenza. La violenza di cui si parla è culturalmente determinata. Mentre le radici fanno crescere, e non possono fare diversamente, nella violenza è meglio fare riferimento a una costruzione, a qualche cosa che uomini e donne possono e devono cambiare. Ecco perché tracce, impronte, ecco perché la metafora della costruzione che con la violenza subisce uno scossone, sgretola la persona. Le tracce, le impronte possono cambiare con la forza dell’educazione e dell’istruzione di una società intera; possono cambiare i rapporti nelle relazioni d’amore (fuori da possesso e sottomissione), nella partecipazione delle donne nella società e nella politica, per sostenere il meglio di ciascuno e per costruire democrazia.

È stato scelto di lasciare il termine “patriarcato” da solo, senza aggettivi. Patriarcato già di per sé dice di una cultura del controllo delle parti femminili, presente sia nelle relazioni individuali, che nelle scelte di potere, nelle scelte del lavoro; la cultura patriarcale è presente nelle piccole e grandi cose, orienta i significati che diamo nella quotidianità, non ascolta gli individui per ciò che sono, ma li vuole in un certo modo. Dai lavori tipicamente femminili, e più spesso meno remunerati, agli aggettivi usati per definire le donne/madri/bambine, dalle espressività emotive accettate differentemente se arrivano da maschi e da femmine e così via.

Una buona ponderazione è andata sul termine “dignità”: spesso si confonde la dignità di ogni persona con l’essere degna, il “meritarsi” rispetto, il “guadagnarsi” considerazione, come se debba esserci una dimostrazione di valore. Questo ci dice che ci sono persone, spesso donne, che non sono abbastanza? Ci dice forse che, se non vengono ritenute abbastanza serie, vestite, sobrie, competenti.

.. possono essere oggetto di violenza?  Di violenza fisica, ma anche verbale, psicologica, economica, lavorativa? Ecco che la dignità è quella umana, che ciascuna persona porta in sé, è il valore che non fa confronti, è il limite oltre il quale non si può esercitare pressione. Non si può confondere la non aderenza a canoni “classici” (avere vestiti succinti o sexy, essere sobria, essere per strada di notte da sola…) con l’essere bersaglio “logico” di violenza.

Nelle parole di tutti i giorni, nei libri di testo, nei modi di dire, e persino nelle sentenze dei tribunali si annidano talvolta stereotipi, interpretazioni facili all’uso, ma non rispettose delle individualità.

E nella costruzione condivisa è un giovane di 27 anni che ci stimola ad inserire l’espressione “se una donna o un uomo non SI, se dice smettila, basta e l’altro prosegue per la sua strada, è violenza”: è radicalmente diverso dire NO. Il No è una risposta, viene dopo una richiesta di altri. Il SI è un’affermazione, è il consenso.

Ben vengano quindi giornate in cui insieme si costruisce cultura insieme: non è facile insinuare dubbi, scostarsi dal passato, ma è possibile, con la passione, l’impegno, l’indignazione, la ribellione, la nostra forza. E serve agire su educazione e istruzione, con la forza di una società intera. (Ecco perché anche la raccolta firme per inserire nella scuola trentina elementi di questo genere). E si conclude con G. Garcia Marquez: L’amore non è una gabbia, così come libertà non significa stare da soli. L’amore è la libertà di volare insieme. E lasciar essere. Senza possedere.