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Preti per il futuro

dom 01 ago 2021 15:08 • By: Renato Pellegrini

Non si deve dare il sacerdozio a cani e porci

Papa Francesco

C’è una specie di pregiudizio, un ottimismo non sempre giustificato, secondo il quale un giovane che oggi, dopo un’esperienza condotta all’università oppure lavorando, decida di farsi prete, di cominciare il suo percorso in seminario, lo porti ad essere un bravo prete, convinto e capace di testimoniare con fedeltà il Vangelo e di saper svolgere un buon servizio pastorale.

Non è necessariamente così. Papa Francesco ha lanciato un accorato allarme nel suo incontro con i vescovi italiani: «In questo momento c’è un pericolo molto grande: sbagliare nella formazione e anche sbagliare nella prudenza nell'ammissione dei seminaristi. Abbiamo visto con frequenza seminaristi che sembravano buoni ma rigidi […] ci siamo accorti che dietro quella rigidità c'erano dei grossi problemi. I seminaristi ricevuti senza chiedere informazioni, che sono stati cacciati via da una congregazione religiosa o da una diocesi… »

C’è una grande paura del «vuoto», del rimanere in tempi brevi senza più preti. È questa paura, o questo terrore che porta ad accogliere tanti giovani nei seminari senza un’accurata selezione. Sempre papa Francesco nel giugno del 2017 ebbe a dire che occorre un’attenzione molto grande per non «sbagliare nella formazione e anche sbagliare nella prudenza nell'ammissione dei seminaristi. Ne deriva che accogliere senza esaminare bene la vocazione di un giovane o «se viene per rifugiarsi», è un’ipoteca per la chiesa, che si paga dopo, anche in modo molto caro.

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Racconta Bergoglio, che quando era stato appena nominato maestro dei novizi, nel 1972, era andato a portare alla psicologa gli esiti del test di personalità, che si faceva come uno degli elementi del discernimento. Era una brava donna, un bravo medico e anche una brava cristiana. Davanti a qualche caso diventava inflessibile e invitava a non far andare avanti qualcuno. Si poteva ben ribattere che «era un bravo ragazzo», ma lei chiariva: “Adesso è buono, ma sappia che ci sono giovani che sanno inconsciamente, non ne sono consapevoli, ma sentono inconsciamente di essere psichicamente ammalati e cercano per la loro vita strutture forti che li difendano, così da poter andare avanti. E vanno bene, fino al momento in cui si sentono bene stabiliti e lì incominciano i problemi”.

Racconta ancora il futuro papa che gli pareva impossibile, perché nulla portava a pensare che quel giovane sarebbe cambiato in modo così evidente. «E la risposta non la dimentico mai, la stessa del Signore a Ezechiele: “Padre, Lei non ha mai pensato perché ci sono tanti poliziotti torturatori? Entrano giovani, sembrano sani ma quando si sentono sicuri, la malattia incomincia ad uscire. Quelle sono le istituzioni forti che cercano questi ammalati incoscienti: la polizia, l’esercito, il clero… E poi tante malattie che tutti noi conosciamo vengono fuori”». È un vero e proprio allarme che il papa ha lanciato.

In alcuni giovani preti si possono notare dei segnali che vanno in questa direzione: «rigidità, mondanità, cura eccessiva del look fino a pavoneggiarsi persino negli abiti liturgici: pianete romane riccamente ricamate, stola incrociata (secondo vecchie forme superate) sotto la pianeta.» (F. De Giorgi, in Viandanti del 24 luglio 2021) Il papa ha parlato e parla chiaro.

Occorre che tutti lo prendano sul serio. Perché non si ripetano casi riprovevoli di preti appena mandati in parrocchia. A me pare importante un ripensamento radicale: «Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci» dice Gesù nel Vangelo di Matteo. Forse ci sono diocesi italiane che stanno rischiando, non ascoltando i moniti di papa Francesco, di dare la cosa santa, la perla, del sacerdozio ministeriale a cani e porci. Ma poi lo scoppio, sia pure ritardato, arriva. E la credibilità crolla anche nei confronti dei preti bravi e santi, che per fortuna sono ancora la maggioranza (forse una maggioranza troppo “silenziosa”).

È questa la Chiesa di Cristo o dobbiamo aspettarne un’altra? Il problema, reale, delle poche vocazioni non si risolve ordinando cani e porci: pseudopreti che poi hanno comportamenti violenti e sporchi. Ma si risolve ripensando radicalmente ed evangelicamente le modalità del sacerdozio ministeriale cattolico.» (Fulvio De Giorgi, cit. Docente di Storia dell’Educazione all’Università di Modena e Reggio Emilia.)

 



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