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Dal letame nascono i fior

lun 06 dic 2021 10:12 • By: Laura Abram

Ovvero: quando la parola merda assume significati del tutto inaspettati

Dal letame nascono i fior

Come ultimo articolo dell’anno ero determinata a scrivere qualcosa di inerente al cibo. Pensavo a qualche dolce tipico della stagione, come il famoso zelten trentino, oppure a qualche prodotto della vendemmia da poco trascorsa. Poi, però, sfogliando il mio sempre valido alleato “Vocabolario anaunico e solandro” di Enrico Quaresima mi sono imbattuta ancora una volta nella concretezza e nella “raffinatezza” della lingua nonesa, di cui mi sento spesso partecipe. Non ho potuto quindi non virare verso questo argomento, che parla di cibo utilizzando con spontaneità la parola merda, quella probabilmente più lontana dalla nostra idea di commestibile.

Troviamo nel nostro dialetto: la merdandiàol / merdandiàul ossia la liquirizia, la quale, in italiano, deriva il suo nome dal greco antico glykyrrhiza “radice dolce”, mentre il noneso e il solandro si concentrano maggiormente sul suo aspetto esteriore.

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Ma abbiamo anche la merdadgiàta, il frutto del ‘Viburnum lantana’, chiamato in dialetto antiscla, un arbusto dalle foglie odorose, dai rami molto flessibili e dalle piccole bacche che raggiungono un colore molto scuro quando sono completamente mature; quest’ultime vengono chiamate anche moninèi / mognine / more monine / more moìne / more molinare nel nostro dialetto.

Infine, cambiando animale ma senza allontanarci dalla nostra parola chiave, troviamo anche la merdatcjagn, il frutto del ‘Rubus saxatilis’, detto più comunemente rovo erbaiolo. Queste bacche di colore rosso vivo, che non vanno confuse con il mirtillo rosso, vengono chiamate nei modi più disparati nelle varie zone della Val di Non e della Val di Sole: beretemprèt (Tuenno), coioni de prèt (Denno), strangolapreti (Segno e Sporminore), agréti (Tassullo e Don), ciapèiemprèt (Tres), bràncole (Smarano), corone da le mónegje (Ruffré), botoni dei frati (Sarnonico), agróni (Cavareno), s-cjauzaprèti (Fondo), coioni de cjagn (Malé), strangolacjagni (Rabbi), sosle da l’ors (Cogolo e Peio). Oltre al cjagn, già presente nel nome di partenza merdatcjagn, subentrano delle figure religiose nelle varie denominazioni: il prete, il frate, la monaca.

Solo nel termine reperito a Cogolo e Peio appare l’orso, in affinità con quello usato nel dialetto trentino: zate d’ors, da non confondere con l’omonimo fungo (Clavaria flava). È interessante notare, infine, che la denominazione “berretta da prete” è usata in molti dialetti settentrionali, ma sta ad indicare il fiore di tutt’altra pianta, l’Evonimo, le cui infiorescenze assomigliano effettivamente al copricapo di alcuni preti.



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