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C'è bisogno di una liturgia nuova

dom 26 giu 2022 08:06 • By: Renato Pellegrini

Non si tratta solo di pensare a nuovi percorsi di evangelizzazione o ri-evangelizzazione, ma anche, e forse soprattutto, occorre pensare a modalità nuove di celebrazione liturgica

Nel giorno della solennità del Corpus Domini, quando c’è già qualcuno che non sa bene di cosa si tratti, c’è ancora chi si ostina a chiedere e a celebrare quella che viene comunemente denominata come «solenne processione», portando il pane benedetto per le vie del paese.

Quasi nessuno si domanda che senso possa avere. Ci si accontenta del «si è sempre fatto così», senza rendersi conto del cambiamento epocale che ci sta investendo. È vero che la festa ha origini lontane nel tempo. Fu celebrata la prima volta a Liegi nel 1247 su richiesta di una religiosa, Giuliana di Mont-Cornillon. In una visione risalente al 1208, a suo dire, il Signore stesso le fece comprendere che mancava una festa annuale in onore del sacramento dell’altare. Nel 1264 il papa Urbano IV, impressionato da un miracolo eucaristico avvenuto a Bolsena, vicino a Orvieto, dove risiedeva, promulgò la bolla Transiturus con la quale istituiva la nuova solennità in onore del Santissimo Sacramento da celebrarsi il giovedì dopo l’ottava di Pentecoste. Era la prima volta che un papa imponeva d’autorità una nuova festa, che però non venne subito attuata, ed altri successori di Pietro, Clemente V (1311 – 1312) e Giovanni XXII (1317) dovettero rimetterla in vigore.

Parto da questa solennità per cercare di comprendere la necessità di un cambiamento deciso del nostro modo di celebrare e partecipare alla liturgia. Cerchiamo di guardare prima di tutto ai veloci cambiamenti che la nostra epoca ci impone; ci troviamo spesso (e da un punto di vista liturgico quasi sempre) impreparati, perché, come ricorda il pensatore francese Charles Péguy, l’anima tende alla tranquillità, a sdraiarsi sui pensieri bell’e fatti. Non si tratta solo di pensare a nuovi percorsi di evangelizzazione o ri-evangelizzazione, ma anche, e forse soprattutto, occorre pensare a modalità nuove di celebrazione liturgica.

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Serve davvero continuare a riproporre lo stile liturgico consueto, oppure, come accade purtroppo in momenti di cambiamento, a rovistare nei bauli dei ricordi per rimettere in auge liturgie desuete, veri e propri pezzi da museo, che non dicono nulla nel nuovo contesto culturale, se non un po' di sentimentalismo religioso per i nostalgici di turno? Per non parlare delle processioni nelle sagre, che nulla hanno a che vedere con una fede genuina, ma sono momenti interessanti soprattutto per le agenzie turistiche e per tenere vivo il folklore.  A me pare che la cosa più urgente sia pensare alle eucaristie domenicali, perché diventino momenti significativi per le persone che vi partecipano.  Dal modo in cui una comunità celebra l’Eucaristia si capisce in quale Dio crede. Si è insistito in passato sul precetto dell’andare a messa la domenica, sotto pena di peccato mortale. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: una messa domenicale a cui si partecipa come abitudine necessaria per la salvezza, consegnata definitivamente nelle mani della classe sacerdotale, togliendola, in questo modo, al popolo di Dio. «C’è stato, dunque, un processo di snaturamento rispetto al significato originale che Gesù ha voluto dare all’eucarestia, come segno della sua presenza in mezzo ai fratelli e alle sorelle e come momento di consegna alla comunità del suo messaggio centrale. Il nuovo contesto culturale nel quale siamo immersi, se da un lato appare insensibile agli aspetti religiosi a causa della sua marcata portata materialista, dall’altra permette di recuperare alcuni aspetti andati perduti nel tempo». (Paolo Cugini, parroco) Oggi le nuove generazioni sono completamente indifferenti agli obblighi nei confronti dei precetti religiosi. Guardando alla storia, non è difficile accorgersi che la Chiesa è stata più attenta alla possibilità di controllare le masse che a proporre lo stile del fondatore. È evidente che chi controlla le masse controlla il potere. Pensiamo solo alla confessione obbligatoria prima di andare a ricevere la comunione. Non è mai stato la proposta di un cammino di libertà per i fedeli, un cammino per incontrare Gesù.

Non è secondario il fatto che progressivamente la chiesa si è identificata con il Sacro Romano Impero. Un segno chiarissimo nel campo liturgico di questa identificazione, sono le vesti liturgiche, che più che essere il segno della presenza della povertà del maestro, sono il simbolo della potenza politica dell’impero romano. Del resto, nei secoli di dominio temporale della chiesa, non mancheranno liturgie in cui viene manifestato il potere della chiesa su principi, re e imperatori. Pensando a queste deformazioni del messaggio originale confluite nella liturgia, si capisce la necessità di una riforma, cominciata con Concilio Vaticano II, ma non ancora portata a termine, a causa di non pochi nostalgici e delle nuove generazioni di presbiteri, che sono spesso più rigide e ancorate al passato della vecchia guardia che, in qualche modo, ha cercato di attualizzarsi. Non è facile preparare liturgie vive e accoglienti in contesti comunitari dominati dalla paura del cambiamento e dall’identificazione della verità con l’immobilità. «È nella liturgia che si nota più che in altri ambiti religiosi, la tendenza a riempire il presente con le vestigia del passato, quando non c’è la disponibilità di pensare ad elaborare qualcosa di nuovo, attento ai cambiamenti in atto e, soprattutto alle persone che vivono la novità della quotidianità». 



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