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Oggi, 17 gennaio si celebra Sant’Antonio Abate

mar 17 gen 2023 14:01 • By: Giada Gasperetti

Ecco la storia del fondatore del monachesimo cristiano e il primo degli abati

Sant’Antonio Abate nacque in Egitto, a Coma, una località sulla riva sinistra del Nilo, intorno all'anno 250 da agiati agricoltori cristiani. Fu un eremita tra i più rigorosi nella storia del Cristianesimo antico e conosciamo la sua vita principalmente grazie alla biografia scritta dal suo discepolo Atanasio. Considerato il fondatore del monachesimo cristiano e il primo degli abati, a lui si deve la costituzione in forma permanente di famiglie di monaci che sotto la guida di un padre spirituale, abbà, si consacrarono al servizio di Dio.

Malgrado appartenesse ad una famiglia piuttosto agiata, mostrò sin da giovane poco interesse per le lusinghe e per il lusso della vita mondana: alle feste ed ai banchetti infatti preferiva il lavoro e la meditazione. Rimasto orfano con un patrimonio da amministrare e una sorella minore a cui badare, Antonio sentì ben presto di dover seguire l'esortazione evangelica di distribuire tutti i suoi beni ai poveri. Così, dopo essersi disfatto di tutti i suoi averi e affidata la sorella a una comunità femminile, seguì la vita solitaria che già altri anacoreti facevano nei deserti attorno alla sua città, vivendo in preghiera, povertà e castità, e cominciando la sua vita da penitente.

Nei primi anni Antonio fu molto tormentato da tentazioni fortissime e da dubbi sulla validità della vita solitaria che aveva scelto. Venne esortato a perseverare da altri eremiti dopo aver chiesto il loro consulto, i quali gli consigliarono di staccarsi ancora più radicalmente dal mondo. Coperto da un rude panno, allora, si chiuse in una tomba scavata nella roccia nei pressi del villaggio di Coma.

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In questo luogo sarebbe stato aggredito e percosso dal demonio, che molto spesso gli appariva per mostrargli quello che avrebbe potuto fare se fosse rimasto nel mondo. Senza sensi, venne poi soccorso da alcune persone che si stavano recando alla tomba per portagli del cibo, e fu trasportato nella chiesa del villaggio, dove si rimise in forze. In seguito Antonio si spostò verso il Mar Rosso, sul monte Pispir, e si stabilì in una fortezza romana abbandonata con una fonte di acqua. Dal 285 rimase in questo luogo per 20 anni, nutrendosi solo con il pane che gli veniva calato due volte all'anno.

In questo luogo egli proseguì la sua ricerca di totale purificazione, pur essendo sempre aspramente tormentato, secondo la leggenda, dal demonio.

Con il tempo molte persone vollero stare vicino a lui e, abbattute le mura del fortino, convinsero Antonio ad abbandonare il suo rifugio. Antonio allora si dedicò a lenire i sofferenti operando, secondo tradizione, "guarigioni" e "liberazioni dal demonio". Il gruppo dei seguaci di Antonio si divise in due comunità, una a oriente e l'altra a occidente del fiume Nilo. Questi Padri del deserto, cioè monaci, eremiti e anacoreti che abbandonarono le città per vivere in solitudine, vivevano in grotte e anfratti, ma sempre sotto la guida di un eremita più anziano e con Antonio come guida spirituale.

Ilarione, un monaco cristiano romano originario della Palestina che trascorse parte della sua vita come eremita, visitò nel 307 Antonio per avere consigli su come fondare una comunità monastica a Majuma, città marittima vicino a Gaza dove poi venne costruito il primo monastero della cristianità in Palestina.

Nel 311, durante la persecuzione dell'imperatore Massimino Daia, Antonio tornò ad Alessandria per sostenere e confortare i cristiani perseguitati. In quell'occasione il suo amico Atanasio scrisse una lettera all'imperatore Costantino I per intercedere nei suoi confronti. Tornata la pace, Antonio, pur restando sempre in contatto con Atanasio e sostenendolo nella lotta contro l'arianesimo, visse i suoi ultimi anni nel deserto della Tebaide. Qui, pregando e coltivando un piccolo orto per il proprio sostentamento, morì all'età di 105 anni, probabilmente nel 356. Venne sepolto dai suoi discepoli in un luogo segreto.

Dopo il ritrovamento del luogo di sepoltura nel deserto egiziano, le reliquie vennero traslate nella città di Alessandria. Poi, a seguito dell'occupazione araba dell'Egitto, sarebbero state portate a Costantinopoli nel 670 circa. Nell'XI secolo il nobile francese Jaucelin signore di Châteauneuf le ottenne in dono dall'imperatore di Costantinopoli e le portò in Francia nel Delfinato, dove oggi si venerano nella chiesa di Saint Julian, ad Arles. In Francia, nello stesso periodo, sorse l'Ordine degli Ospedalieri Antoniani, approvato successivamente da papa Urbano II. La vocazione degli Antoniani era quella dell'accoglienza delle persone affette dal fuoco di sant'Antonio.

S. Antonio è considerato il patrono dei macellai e salumai, dei contadini e degli allevatori e degli animali domestici: un maiale con una campanella al collo è solitamente raffigurato accanto a lui. Spesso invocato come protettore del bestiame, appunto, la sua effigie era collocata sulla porta delle stalle. Il Santo è invocato anche per scongiurare gli incendi, e non a caso il suo nome è legato ad una forma di herpes nota come "fuoco di Sant'Antonio" o "fuoco sacro".



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