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Cinque 'perché' di chi si trasferisce in montagna

sab 25 feb 2023 18:02 • By: Giulia Colangeli

Cinque (più o meno) ironici motivi per i quali sempre più ‘furesti’ scelgono le valli del Noce

La Giulia cerca risposte ai '5 perché' poco dopo la Maleda alta (ph. Giorgio Andreis)

Ormai è impossibile negare la sovrabbondanza di persone che dalle città o dalla pianura decidono di trasferirsi più in alto. La scelta di cambiare vita, da situazione eccezionale, si è trasformata in abitudine – talvolta, ripetuta più volte nel corso di brevi lassi temporali – per molti. Si potrebbe azzardare, pur considerando le conseguenze positive di una scelta così radicale, che sia divenuta una moda come molte altre.

Il ritorno a ritmi più lenti, l’attrazione verso impieghi che non obblighino a vivere dietro lo schermo di un computer, l’astrazione – il più delle volte – e l’ideale di una quotidianità meno ossessiva, meno distruttiva di quella delle grandi città, sono temi per i quali sarebbe necessario scrivere saggi e solo alcune delle motivazioni per cui sempre più ‘furesti’ scelgono le valli del Noce.

Vediamo insieme, con leggerezza, cinque motivi in cinque parole chiavi.

Green Un ritornello che non si stanca mai di ripetersi è (tutto ciò che è) ‘green’. Dal panorama oltre la finestra di casa ai sentieri – entrambe vie estremamente più piacevoli da percorrere rispetto alle colate di cemento e alle zone industriali delle metropoli –. Sarà anche vero che la città non manca di opportunità e di realtà culturali varie, ma pecca di verde: qualsiasi parco o viale alberato, nonostante possa essere considerato un’oasi nel deserto dei palazzi, non potrà mai sostituire alcun versante ricoperto di alberi, meleti e pareti di roccia. Chi si trasferisce nei piccoli paesi sa che il bosco diventerà una seconda casa e sa che potrà più facilmente avvistare un cervo rispetto a un gatto randagio. Per i locali non è gran cosa, ma per chi ha visto certe immagini solo nei film o ne ha letto storie tra le pagine dei libri… è il salto che fa la differenza tra fantasia e realtà.

Neve L’inverno – quello serio, quello che avremmo se non fossimo carnefici e ostaggio del riscaldamento globale – non è una stagione facile, in quota. La rigidità e la neve sono ostacoli non indifferenti per chi non li ha mai vissuti fuor di settimana bianca. Guidare, gestire il riscaldamento in casa, abituarsi a climi differenti rispetto a quelli sempre sperimentati sulla pelle, possono essere piccole scomodità o fastidi insormontabili. Perché, dunque, anche l’impreparato non esita davanti a qualcosa di talmente nuovo? C’è della magia nella neve, che forse rimane intatta e inalterata nel tempo proprio grazie a chi la scopre per la prima volta.

Autoroen Aprile

Grazie a chi, con animo un po’ bambino, si meraviglia di cose semplici (e ne sopporta i disagi). Questa è una visione poetica delle cose, senza dubbio, ciononostante nulla le impedisce di acquistare progressivamente concretezza, e incantare di anno in anno sempre più sognatori.

Lavoro La comune filastrocca “al Sud non hanno voglia di lavorare”, oltre che estremamente generalizzante, si lascia ascoltare sempre con meno entusiasmo. Se chi perpetra lo stereotipo ponesse attenzioni alle condizioni contrattuali – e quelle effettive –, alle situazioni di reale disagio presenti in determinate aree e in numerosi contesti lavorativi del Mezzogiorno (per antonomasia, purtroppo, ma non solo, dato che Centro e Nord hanno le loro grasse grosse gatte da pelare), si renderebbe conto della banalità di una cantilena fin troppo recitata. Una reazione diretta alle difficoltà sembrerebbe logicamente essere, il più delle volte, la fuga. Facile desumere, dunque, i motivi per i quali queste belle valli pullulano di stranieri e di gente da fuori (comunemente, dal Sud, ma non solo: anche dall’estero). Si va – e si torna – sempre dove si sta meglio. Dove è possibile ottenere ciò che si cerca: aria pulita e verde, certo, paesaggi mozzafiato ma soprattutto un buon lavoro. Qui non manca, mancano piuttosto i dipendenti indigeni e il posto vacante fa presto a riempirsi. “Chi vuole sporcarsi le mani, trova sempre qualcosa da fare” e non c’è dubbio che sia vero. L’accezione negativa dell’atto di sporcarsi le mani può essere fraintendibile: c’è tanto lavoro, di un tipo molto diverso rispetto alle abitudini cittadine o marittime, il che non significa che sia meno nobile. Anzi, è forse più contemplato, più idealizzato e scelto consapevolmente da molti che hanno già esaurito la pazienza sulla poltrona da informatico o impiegato. Il turismo stagionale così strettamente legato al territorio e le figure professionali che ne conseguono – maestri di sci, guide alpine, accompagnatori – sono prodotti e produttori di un sistema più sano, almeno dal punto di vista della salute fisica e mentale, rispetto a ciò che viene proposto dal mondo impiegatizio che opera con il mouse alla mano e una scoliosi dietro l’angolo. Sono forse fantasie? Elaborazioni astratte? Può darsi. Non vi è grafico a torta che dedichi le sue fette al numero di romani o milanesi integratisi in provincia di Trento, né tantomeno ai lavoratori provenienti dall’Oriente. Esiste il rischio di invischiarsi nella fitta selva del pregiudizio? C’è chi vive le valli di passaggio, mentre qualcun altro mette radici, arricchendo un territorio e portando varietà di costumi e linguaggi. Infine, se vogliamo dirla tutta, l’entusiasmo di un cittadino nei confronti della lavorazione del formaggio o della gestione di un rifugio non ha bisogno di presentazioni. In quanti sarebbero disposti a votarvi la propria vita? Quanti hanno la capacità di meravigliarsi quotidianamente della più semplice e genuina delle esistenze; dunque, coloro che ne sono stati privati da sempre.

Social Se l’ambiente montano nell’ultimo periodo ha vissuto – e continua a patire, in alcuni casi – un’invasione e di turisti, e di nuovi residenti, ciò è dovuto anche all’influenza che le piattaforme social hanno sull’utente medio. Paesaggi che un tempo il cittadino a malapena immaginava, leggendo libri o scoprendoli in foto, nelle guide di sentieri, negli albi illustrati, oggi sono a un’applicazione di distanza: bastano pochi click per immergersi nelle foreste tropicali, così come per scalare gli Ottomila. In aggiunta, si diffondono a macchia d’olio racconti e reportage di chi certe zone le ha viste in prima persona, da viaggiatore, da turista, invogliando altri a farlo. Se l’influencer di turno ha portato turismo anche in zone remote, certamente è riuscito a instillare nel pubblico ciò che ha cambiato le carte in tavola una volta per tutte: un nuovo bisogno. Quello di evadere dal conosciuto e muoversi più in là del proprio naso. Quello di vivere al passo delle stagioni, di imparare ogni giorno qualcosa (credete forse che sia scontato, per chi non ha mai visto un larice, distinguerlo da un abete?), di respirare aria pulita e riuscire a vedere le stelle.

Salute Se potessimo misurare la qualità della vita da ogni punto di vista – inquinamento dell’aria, dell’acqua, numero di passi giornalieri, stimoli visivi e olfattivi, organicità dei cibi, senza contare tutto l’apparato psicologico, lo stress, la gestione delle responsabilità… - e prendere, rispettivamente, un dirigente d’azienda di Milano (un tassista a Roma, o a Napoli? Un insegnante di qualsiasi grande città? Un operaio in fabbrica?) e il suo corrispondente solandro, o noneso… chi vivrebbe più a lungo tra i due?


Apriamo le scommesse?



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