ven 14 lug 2023 13:07 • By: Siamo sorelle, zie, figlie, madri, compagne
Riceviamo e pubblichiamo una lettera che riporta l'attenzione sulla piaga della violenza sulle donne
Quello che stiamo vivendo come famiglia da un anno a questa parte ha del surreale ed è indescrivibile.
Capire le dinamiche e toccare con mano quello che si può provare quando ad un tuo strettissimo famigliare succede di essere vittima di stalking e addirittura di tentato femminicidio è davvero impossibile se non lo provi sulla tua pelle. A noi purtroppo è successo di doverlo provare.
Tutto ha inizio ad agosto dello scorso anno circa, quando diventano numerosi e insistenti i messaggi, gli audio, le telefonate di nostro cognato, che non accettava il fatto che nostra sorella volesse la separazione. I suoi atteggiamenti nei nostri confronti sono mutati repentinamente, coinvolgendoci nelle problematiche di coppia come mai era successo prima e chiedendoci insistentemente ad ogni ora del giorno e della notte di convincere nostra sorella a ripensare alla sua scelta, coinvolgendo peraltro anche i suoi figli in queste opere di convincimento. Più volte abbiamo cercato di spingerlo a farsi aiutare, ad avere un supporto da parte di professionisti, ma tutte le nostre parole sono state vane. Un crescendo di pressioni che ha creato degli squilibri importanti e che, nel nostro piccolo, non ci ha permesso di godere appieno delle nostre situazioni famigliari, dei figli piccoli che ogni giorno donano un’emozione nuova, della vita di coppia, che deve portare felicità e voglia di impegnarsi per costruire progetti futuri. Sono stati settimane, mesi difficili, con minacce da parte di nostro cognato di farla finita e velatamente della volontà di non andarsene da solo. Mai tuttavia avremmo potuto immaginare che questo si sarebbe potuto tramutare in realtà. Invece così è stato. Il 25 novembre, giornata internazionale dedicata alla violenza sulle donne, nostro cognato ha tentato di uccidere nostra sorella, raggiungendola al lavoro in un momento in cui si era assicurato fosse sola e mettendole una corda intorno al collo.
Non è tutto, con sé aveva uno zaino con altri oggetti pericolosi, tra cui un lungo coltello da cucina, delle manette, dell’acido muriatico. Solo l’intervento di alcune persone del posto ha permesso che non accadesse il peggio.
Da quel giorno tutto è cambiato, si può dire che sia iniziata un’altra fase della nostra vita, una fase che non avrà fine.
I primi pensieri sono andati a nostra sorella e ai nostri preziosissimi nipoti: loro sì che avrebbero avuto bisogno di tutela, di vicinanza, di essere seguiti da professionisti fin dall’inizio, per elaborare la situazione ed evitare ripercussioni psicologiche in futuro. Abbiamo trascorso due giorni infiniti di terrore: lui era libero e noi barricati in casa, le pattuglie giravano molto più spesso del solito. L’epilogo, due giorni dopo, è stato quello del suo arresto. Un mix di emozioni e sentimenti indescrivibile, dal senso di protezione e di profondo affetto verso i nostri nipoti e nostra sorella, alla paura che tante tensioni potessero avere conseguenze sulla salute dei nostri genitori, al sentimento contrastante nei confronti di nostro cognato e la volontà di capire cosa fosse scattato nella sua testa.
I mesi seguenti sono stati in salita. Volevamo capire quanto nostro cognato fosse seguito verso un percorso riabilitativo all’interno del carcere, e se questo fosse previsto. Purtroppo tali informazioni sono ritenute riservate e dunque paradossalmente, alla vittima della vicenda e ai suoi stretti famigliari non era dato sapere, come non lo è tuttora! Sembra impossibile, ma è così. Ciò significa che non è possibile capire se al termine del periodo di detenzione questa persona avrà intrapreso una riabilitazione utile a fargli capire le sue azioni, necessaria ad evitare che tali azioni si possano ripetere. Perché, si sa dalla cronaca, dai sempre più numerosi casi di femminicidio che leggiamo sui giornali, quanto siano frequenti i casi in cui il soggetto ritenti. È chiaro dunque quanto siano indispensabili i percorsi di riabilitazione, fermo restando che è necessario che l’autore della violenza voglia cambiare e investire su di sé, per evitare che accada il peggio, perché altrimenti sarà proprio così!
Da qualche settimana a questa parte si trova in una comunità. Dapprima il senso di sicurezza era garantito dal fatto che gli avessero applicato il braccialetto elettronico, tuttavia da alcuni giorni il giudice ha deciso che tale dispositivo non fosse più necessario, e questo ci ha fatto ritornare ad un clima di paura e di ansia che avremmo preferito non dover rivivere così presto. Ancora una volta alle persone offese non è dato sapere quale sia la sua libertà di movimento, quale sia il livello di sorveglianza diurna e notturna.
Grazie ad ulteriori segnalazioni, come se quelle già agli atti non fossero state sufficienti, sembra che ci siano nuovi sviluppi sulla valutazione di pericolosità e quindi del luogo di permanenza di nostro cognato. Rimaniamo fortemente convinte che solo un percorso terapeutico mirato possa, forse, fare la differenza.
La nostra è una famiglia forte che, come tante altre, ha affrontato numerose sfide. Siamo pronti ad affrontare anche questa, ma con l’aiuto della giustizia, quella vera, pronta, reattiva, indispensabile per tutelare la sicurezza di nostra sorella e dei suoi figli, e che deve permetterci di vivere di nuovo una vita per quanto possibile serena, senza la paura di voltarsi.
Lettera firmata