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Parlare di Dio se Dio non interessa nessuno

ven 01 gen 2021 14:01 • By: Renato Pellegrini

Non c’è fede se non c’è cultura cristiana

Parlando con alcuni giovani, ma c’era presente anche qualcuno che molto giovane non è più, ho potuto rendermi conto della distanza che separa le nuove generazioni dalla fede in Dio. Non solo dalla fede vissuta in modo tradizionale, ma da ogni discorso su Dio e da ogni insegnamento ricevuto a catechesi, a scuola o in famiglia. Già molti anni fa Francesco Alberoni, in un articolo apparso sul Corriere della Sera, metteva in evidenza che parlando di personaggi biblici (Abramo o Mosè ad esempio) con i suoi studenti, non riceveva nessuna risposta: erano scomparsi dall’orizzonte delle loro conoscenze. «La cultura cristiana è in netto regresso, in particolare tra i giovani»: titolava un articolo apparso su Le Monde in agosto, commentando i risultati di un sondaggio realizzato all’inizio del mese. Il fenomeno, che non riguarda solo la Francia, è diffuso in tutto il mondo occidentale e non si intravede nessun cambiamento di rotta almeno per ora.

È come se per molti la cultura cristiana, i suoi riti, persino la sua storia non susciti alcun interesse. Per una buona parte delle nuove generazioni è addirittura un mondo sconosciuto. Nel sondaggio si parla di cultura cristiana, non di fede. Ed è certo che si può avere una buona cultura cristiana, senza avere fede. Ma non si può avere fede senza cultura. Per i credenti si tratta di una vera e propria sfida, senza contare la sofferenza che tutto questo comporta per quelle persone anziane che debbono costatare il venir meno della religione nei loro figli e ancor più nei loro nipoti.

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La domanda da porsi è dunque: è possibile oggi comunicare la fede? Il mondo va avanti per la sua strada, ed è un percorso dove trova sempre più spazio la secolarizzazione, che per dirla un po’ semplicisticamente, è la sua autonomia da Dio. Qualcuno s’è chiesto se è possibile far nascere di nuovo il desiderio di Dio al di fuori di ogni percorso religioso. Già Dietrich Bonhoefer, teologo protestante, morto in un campo di concentramento, aveva profetizzato di far cogliere qualcosa della fede parlando di Dio a partire dall’esperienza umana, dal fatto che Dio stesso si è fatto uomo in Gesù di Nazareth. Diventa importante riscoprirne la realtà storica, lasciando perdere i tratti mitologici contenuti nel racconto dei Vangeli. In fondo «le scienze moderne hanno distrutto i fondamenti mitologici di tutte le religioni» (Roger Lenaers).

I giovani di cui sopra mi dicevano che pregare non serve a niente, che non ci può essere un altro mondo, che la storia della nascita di Gesù è qualcosa che non si può credere. Il loro ragionamento non è affatto superficiale e da respingere. Per l’uomo e la donna del nostro tempo diventa sempre più difficile continuare a considerare reale un Dio onnipotente nell’alto dei cieli. L’universo ha leggi autonome e vive senza bisogno di interventi di una forza che viene dall’esterno. A che serve dunque pregare? La pioggia, la neve e i temporali non sono regolati da Dio, ma dalle regole che la natura ha in sé. Nella modernità togliere ogni racconto mitologico dal nostro messaggio di fede è un passaggio imprescindibile. Anche la Chiesa da qualche tempo si è data questo compito. Resta tuttavia il delicatissimo problema di Gesù di Nazareth. Cosa c’è di storico nella sua nascita, nei miracoli, nella sua morte? Non c’è più alcun dubbio riguardante la sua esistenza, il suo stile di vita e la sua morte in croce. Ma che dire degli angeli che appaiono ai pastori, del censimento, della strage degli innocenti, dei magi, della fuga in Egitto? Vale la pena sottolinearlo: Gesù è un personaggio storico con tutte le caratteristiche della storicità. Ha bisogno anche lui, tuttavia, di essere svestito di tutti i panni mitologici, ma nello stesso tempo occorre chiedersi per quali motivi sia stato presentato in questo modo. Gesù è un uomo, ma non è stato soltanto uomo un come noi. Nella sua vita e nelle sue parole c’è qualcosa che ci supera. L’esperienza umana di arricchimento e pienezza che il cristiano fa quando segue la via del suo Maestro, è sufficiente per spazzar via ogni dubbio che si tratti della strada giusta. Arriva a comprendere che così facendo ha scelto la parte migliore e non ha bisogno di cercare un’altra via o un altro salvatore. Nel Vangelo di Giovanni (6,68) Gesù chiede ai suoi discepoli se vogliono restare o meno con lui. Risponde Pietro a nome degli altri e di tutti i cristiani: «Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna». 



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