Società Val di Sole

Il giubileo dei carcerati

Credere nella dignità oltre lo sbaglio

Il giubileo dei carcerati

Oggi, 14 dicembre, la Chiesa celebra il Giubileo dei detenuti, fortemente voluto da papa Francesco, che nella bolla di indizione Spes non confundit scrisse: «Penso ai detenuti che, privi della libertà, sperimentano ogni giorno, oltre alla durezza della reclusione, il vuoto affettivo, le restrizioni imposte e, in non pochi casi, la mancanza di rispetto».

Sono parole forti, che cercano di mettere in evidenza i diritti negati e le speranze deluse di chi è rinchiuso dietro le sbarre per errori commessi e che avrebbe diritto a cercare e trovare la riabilitazione. Ogni carcerato rimane una persona con la sua dignità, anche se ha sbagliato e giustamente paga la sua colpa.

Ma ciò che le cronache troppo spesso ci raccontano dei detenuti sono inequivocabilmente fotografie negative che descrivono sovraffollamento, impiccagioni, morti per overdose, anziani, malati e tante regole incomprensibili. I detenuti stanno raggiungendo numeri mai visti nella storia della Repubblica «quasi si trattasse di luoghi ameni presi d’assalto durante Ferragosto o per le vacanze di Natale: siamo al 137,07 per cento di sovraffollamento con 63.467 persone detenute a fronte di 46.304 posti realmente disponibili» (Claudio Bottan in L'Osservatore Romano del 12 dicembre 2025).

Inevitabilmente questo provoca nella maggior parte degli istituti una trasformazione negativa: le persone detenute rischiano ogni momento di subire - e talvolta subiscono - trattamenti inumani e degradanti.

A raccontarlo sono fra gli altri l’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno e il suo compagno di sventura Fabio Falbo, che ha avuto una ventennale esperienza carceraria vissuta studiando giurisprudenza e mettendosi a disposizione degli altri detenuti.

Papa Francesco aprì la porta santa nel carcere di Rebibbia. Era il 26 dicembre dello scorso anno. È stato un gesto significativo, che non ha portato tuttavia alcuna conseguenza positiva. Bergoglio avrebbe desiderato «aprire i cuori alla speranza».

Riascoltando oggi quel suo messaggio tutto sembra lontano, parole e gesti risultano inutili. Il papa aveva esortato i governi a prendere in considerazione “forme di amnistia o di condono della pena”, ma queste misure sono state bollate come segno di debolezza.

Forse non resta altro da fare che pregare il Signore seguendo il desiderio di Francesco, perché «dall’alto tocchi i cuori di molti per il rispetto della dignità umana verso tutti i detenuti».

Rispetto, dignità: sono parole e atteggiamenti fondamentali, che valgono verso tutti, non esclusi i carcerati per non attuare atti lesivi della libertà degli altri. Occorre essere convinti che il carcere non può e non deve risolversi nella punizione. Certo, è normale pensare: chi ha sbagliato, paghi!  Molto meno normale è auspicarsi ciò che insegna la Costituzione, e cioè che la pena deve avere come scopo la rieducazione del detenuto, vale a dire la capacità di tornare in libertà senza tornare a delinquere.

E qui va certamente annotato ciò che dicono le statistiche, che cioè non succede così: una percentuale significativa riprende una vita che va contro le leggi. C’è chi ha osservato che per un detenuto tornare in libertà può fare paura, perché si sente completamente spaesato e continuamente giudicato. Sarebbe dunque importante mettere in atto misure alternative, quali ad esempio gli arresti domiciliari, o la possibilità di lavorare, perché il lavoro rende autonomi.

La politica, però, come annota Massimo Recalcati in una intervista rilasciata su Avvenire (12 dicembre) «sembra un po’ ingessata: anche di fronte agli appelli, dal Giubileo alla richiesta di un atto di clemenza passando per l’intervento dei vescovi lombardi… che ci hanno chiesto di tenere alta l’attenzione, promuovendo incontri, convegni, prese di posizione. Quella della Chiesa è una richiesta di umanità. Di Vangelo».

In altre parole non è buonismo e neanche illusione. È cercare soluzioni non a portata di mano, addirittura talvolta non facilmente e subito reperibili. È voler testardamente pensare che la dignità di ciascuno non possa andare definitivamente perduta, anche se sappiamo tutti che dentro le carceri non ci sono angioletti, ma uomini e donne che hanno sbagliato e devono ricominciare una vita diversa.