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Il paradigma del dono

gio 31 dic 2020 • By: Nora Lonardi

Uno stimolo al cambiamento e al progresso sociale

Cosa tiene insieme una società? Quali sono i paradigmi alla base delle relazioni umane che portano all'istituirsi di una organizzazione collettiva, più o meno duratura e coesa? Sono i quesiti centrali e addirittura fondanti delle scienze sociali e delle varie correnti di pensiero che sono nate nel tempo proprio per dare una risposta a tali interrogativi, a fronte di una complessità sociale che progressivamente aumenta e si differenzia.

Non è questa la sede per una disamina esaustiva dell'argomento, tra l'altro assai impegnativo, per cui cercherò di limitarmi a fornire alcune “tracce” (che gli eventuali interessati potranno approfondire) per collegarmi all'argomento del forum mensile di questa rivista.

Le teorie finalizzate a fornire una spiegazione omnicomprensiva e “funzionalistica” (v. corrente del Funzionalismo) dei diversi attori in gioco e delle dinamiche, che si sviluppano nell'agire sociale e nel rapporto fra individuo e società, hanno occupato per molto una posizione dominante nella sociologia, seppure successivamente siano state anche oggetto di critica. Una per tutte la complessa teoria struttural-funzionalista elaborata a partire dagli anni '40 del '900 dal sociologo statunitense Talcott Parsons, il quale, molto sinteticamente, individua nei “valori comuni” (come già ipotizzato dal suo predecessore émile Durkheim) la base del consenso, dell'ordine, e dell'integrazione sociale. Integrazione che secondo il sociologo si realizza attraverso l'interiorizzazione di questi valori fin dalla prima infanzia, tramite la socializzazione primaria svolta dalla famiglia, e quindi l'adattamento spontaneo e non coercitivo, anzi volontaristico alle norme, alle funzioni e ai diversi status e ruoli che regolano il sistema sociale. Il sociale in sé costituisce il valore supremo dell'individuo, valore che egli interiorizza fin dai primi anni di vita, ed è ciò che tiene coesa la società e la fa “funzionare”. La distorsione di questo approccio funzionalista sta nel non voler riconoscere, oltre che le differenze identitarie e culturali, il tema della diversità e la questione del conflitto potenzialmente insito in ogni società, nonché in ogni relazione, che è anche un conflitto fra valori, oltre che fra interessi differenziati.

A quest'ultimo punto si può collegare un altro importante paradigma interpretativo delle azioni e relazioni sociali, ossia l'Utilitarismo, una dottrina filosofica già presente nell'antichità, ma che si formula compiutamente a partire dal XVIII secolo. Nelle sue varie accezioni e sviluppi anche contemporanei, l'Utilitarismo vede nell'interesse personale il motore della società sebbene nell'osservanza di alcune regole condivise. Il concetto di fondo è che l'individuo è naturalmente teso a cercare di ottenere ciò che lo fa stare bene, che procura felicità, ciò che è a esso utile e vantaggioso. Quanti più individui riescono a raggiungere tale obiettivo, tanto più si massimizza il benessere sociale, quindi la finalità di un società giusta ed equa è “Il massimo della felicità per il massimo numero di persone” (Jeremy Bentham). Anche rispetto a questa corrente si sono sviluppate critiche, sottolineando in particolare il pericolo di una deriva individualistica che non implica il concetto di solidarietà, né una valutazione della moralità dell'atto (il fine giustifica i mezzi?), per non parlare del possibile conflitto di interessi o della disparità nelle opportunità reali e concrete di accesso ai mezzi per essere “felice”.

Una diversa interpretazione dell'azione sociale è quella che si basa sul paradigma del dono, che ha come suo fondatore l'antropologo francese Marcel Mauss e nello specifico il suo Saggio sul dono pubblicato nel 1924 e ripreso a partire dagli anni '80 del secolo scorso dal movimento non a caso chiamato MAUSS, il Mouvement antiutilitaire dans les sciences sociales (Movimento anti-utilitarista nelle scienze sociali), che considera l'idea di una società mossa da una rete di relazioni spontanee e nello stesso tempo di reciprocità, come quelle che si manifestano nell'atto del donare-ricevere-ricambiare. Il dono è un atto libero, che non ha garanzie di restituzione, ma nello stesso tempo in qualche modo “obbliga”, pur se non giuridicamente, a ricambiare. Questo fondamento di reciprocità basata sulla fiducia, che manca nello scambio puramente mercantile, viene a stabilire una sorta di collante, un “fatto sociale totale”.

Il paradigma del dono è stato assunto come stimolo alla teorizzazione di ideologie ma anche economie alternative a quelle dominanti, come appunto il MAUSS, e in particolare il sociologo francese Alain Caillé, che confrontandosi con diverse teorie (lotta per il riconoscimento, teorie della cura...) auspica di passare a un paradigma più generale che sia trasversale rispetto alle varie discipline così come alla politica, e che si opponga alla concezione dell'homo oeconomicus, tipica dell'utilitarismo e non solo.

Il dono infatti non va interpretato solo nella sua natura materiale, bensì anche immateriale e simbolica, ma nello stesso tempo concreta, se vogliamo anche “produttiva”. Ne sono un esempio le Banche del tempo, associazioni sorte negli anni '80 e diffuse in seguito a livello internazionale, i cui soci mettono a disposizione beni e servizi gratuiti e nello stesso tempo dispongono essi stessi di quanto “donato” da altri. Nell'amicizia, nell'amore, ma anche in azioni di solidarietà, di aiuto, di sostegno, del prendersi cura, di partecipazione a una causa, nell'educazione e altro ancora, esiste un dono di sé e uno scambio basato non sulla garanzia di un ritorno, ma sul riconoscimento del valore dell'altro e sull'importanza della relazione. Il dono, sostiene Caillé, e soprattutto lo scambio del dono, è “operatore di riconoscimento” e in questo senso propulsore dell'agire sociale in termini di reciprocità.

Certo non si cambiano i massimi sistemi da un giorno all'altro, né si deve pensare di escludere l'apporto importante derivante da altre scuole di pensiero, sia quelle brevemente citate sopra, sia altre a cui qui non si fa riferimento, semmai trovare appunto linee di incontro e di ampliamento. Tuttavia il paradigma del dono, attraverso un lavoro di studio e di prassi diffuse, appare suggestivo al fine di promuovere un vero cambiamento anche nella nostra concezione di sviluppo socioeconomico e costruire economie e società più sostenibili e inclusive.


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