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Dimmi dove abiti e ti dirò chi sei

lun 19 lug 2021 • By: Sandro de Manincor

“Di tutte le arti, l'architettura è quella che più di tutte influenza l'anima, pur se con grande lentezza”. (Ernest Dimnet)

“C’era una valle bella e incantata” è l’incipit di parecchie fiabe; così come il finale, “…e vissero felici e contenti”. D’altronde, nell’immaginario collettivo, le nostre valli di montagna qualcosa di fiabesco lo hanno sempre avuto, popolate da Heidi e le sue caprette “che fanno ciao” e le baite con i prati verdi; e sulla qualità della vita, lontana dai ritmi forsennati delle metropoli, l’invidia e il sogno regnano ancora sovrani.

La realtà è giustamente un po’ diversa, con un paesaggio che, negli anni, è mutato e una urbanizzazione cresciuta a volte disordinatamente, in base agli sviluppi economici, alla nuova organizzazione e agli stili di vita, alle esigenze di una crescita turistica numericamente importante.

Periodi che hanno visto investimenti importanti, hanno creato migliaia di posti letto e infrastrutture per i turisti in Val di Sole, e per le aziende e altre strutture ricettive in Val di Non. Scenari che sono profondamente cambiati, muti testimoni di un benessere arrivato forse troppo velocemente, in valli che prima erano terre di povertà ed emigrazione. Una corsa che comunque aveva una lungimirante pianificazione nell’espressione del Piano urbanistico provinciale elaborato dall’illustre professor Samonà, chiamato a corte dall’allora presidente della Provincia, il solandro Bruno Kessler.

Un Piano che aveva il principio cardine di guardare la zona dall’alto, nella sua interezza, armonizzando e destinando le varie aree e che forniva le competenze agli organi territoriali quali i Comprensori.

Poi, in un processo democratico discutibile, le competenze si sono frazionate e distribuite più capillarmente e, spesso, grazie a visioni localistiche, a campanilismi inutili, e forse anche alla carenza di competenze specifiche, sono iniziati i guai, con situazioni poco coerenti, con disordine urbanistico, con manufatti architettonicamente discutibili, con una corsa all’apparire e soprattutto con una notevole confusione che ha portato ad un grande svilimento dell’identità.

Concetto questo, che è proprio ben rappresentato dal paesaggio urbano. Un po’ come dire: dimmi dove abiti e ti dirò chi sei. Cercare colpe sarebbe fin troppo facile con i progettisti che hanno assecondato troppo facilmente le idee dei proprietari e con gli organi competenti che hanno approvato qualsiasi richiesta, con decisioni spesso contrastanti a pochi chilometri di distanza. E mentre tutti ora siamo abbagliati dai casi eclatanti alla Marilleva, continua quotidianamente lo stillicidio delle scelte stilisticamente discutibili, delle aree edificabili inutili, e soprattutto dei centri storici dei nostri paesi abbandonati e in degrado.

Oggi, grazie ad una mutata sensibilità e agli incentivi e bonus disponibili, abbiamo la grande occasione per rimediare a un po’ di cose, recuperando edifici di grande valore architettonico e, se necessario, eliminarne alcuni che di valore non ne possiedono neanche una briciola, ma la cui scomparsa, invece, può restituire la bellezza all’area circostante. Serve però una cultura diffusa su ciò che significa identità. Serve che tutti diventiamo consapevoli che anche con piccoli “egoistici” interventi possiamo fare danni, e che la qualità della vita, quella del “vissero felici e contenti”, passa proprio attraverso le nostre case, il nostro paesaggio, le nostre infrastrutture.

In questo numero monografico di NOS Magazine vi raccontiamo degli esempi, che se ben recuperati, compongono il paesaggio contemporaneo capace di raccontare la nostra storia, rimetterci in pace con la bellezza, e farci invidiare ancora un po’. 

Buona lettura quindi e se volete suggerirci qualche situazione, di qualsiasi tipo, aspettiamo il vostro contributo. Perché i paesi, le case, i paesaggi, rappresentano chi ci vive e viceversa.

 


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