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Ucraina e Russia, oriente contro occidente

sab 07 mag 2022 • By: Alberto Mosca

Uno sguardo storico per comprendere un mondo attratto da est e da ovest

La Russia è più europea o asiatica? Guarda più a occidente o a oriente? Nel corso della sua millenaria storia, questo essere “terra di mezzo” tra due mondi e due emisferi ha portato la Russia e i russi alternativamente di qua e di là, alla ricerca di una identità ancora oggi incerta.

La storia ci aiuta a comprendere meglio anche la contemporaneità: ovviamente, in sintesi, con tutti i limiti derivanti.

Partiamo da un po’ più di un millennio fa, quando i Variaghi, popolo norreno, vichinghi per chiarire, emigrarono dalla Scandinavia verso l’odierna Ucraina, mescolandosi con i popoli slavi autoctoni e dando vita a quello che fu il primo nucleo dello stato “russo”: la Rus’ di Kiev.

A proposito del termine “Rus’”: esso viene dall’antico scandinavo e indica proprio gli “uomini che remano”, quelli che arrivarono a bordo delle navi nella nuova patria.

Padri fondatori di questa epopea furono Rjurik, colui che portò i Variaghi in Ucraina, quindi Vladimir e Oleg, considerati i fondatori della nuova Rus’ di Kiev. Insomma, i “russi” (secondo le categorie dei tempi degli zar, grandi russi, piccoli russi ovvero gli ucraini e i russi bianchi, o bielorussi) nascono da qua.

Da subito la Rus' si confrontò con l’espansionismo di altri potentati, come l’Ordine Teutonico, che governava l’area baltica e in particolare la Lettonia, e quello della crescente potenza polacco-lituana. L’inimicizia tra russi e polacchi come vedete, è da tempo ereditaria…

Ma attenzione: in questa storia a un certo punto accade qualcosa di epocale, tanto da determinare un “prima” e un “dopo”: siamo nel 1240 e tutto il bassopiano sarmatico viene conquistato dall’Orda d’Oro mongola, quelli di Gengis Khan. Dal Pacifico all’Ungheria, fu l’impero più grande della storia, tale da unire come mai prima Asia ed Europa, raggiungendo la massima estensione nel 1279.

Nei due secoli successivi l’impero mongolo si frammentò in diversi khanati, contro i quali lentamente iniziò a contrapporsi una nuova entità politica russa, quella del Granducato di Mosca.

Curiosità, il khanato di Crimea sopravvisse fino al 1783 e nello stesso anno l’espansione russa a est arrivò fino al Pacifico.

Sotto la guida degli zar, questa lenta riconquista portò all’ingrandimento di questa Russia a scapito dei khanati: fino a che, alla metà del XVI secolo, fu Ivan IV, il “Terribile” ad appropriarsi del titolo di “czar”, ovvero di “Cesare”, inteso come imperatore, dando corpo ad un’ambizione che la tradizione riassume efficacemente con le parole profetiche di un monaco di Pskov, Filoteo, vissuto nel XV secolo: “Due Rome sono cadute. Ma la terza, Mosca, esiste! E non ve ne sarà una quarta…”.

In questo periodo la Russia, che nel 1613 vede insediarsi la nuova dinastia dei Romanov, occupa la parte orientale dell’Europa ed è separata da essa dal grande stato confederato polacco-lituano, con il quale è in conflitto permanente.

Intanto comincia a guardare a est, verso le aree siberiana e dell’Asia centrale, allargando verso l’India e la Cina le proprie sfere d’influenza.

Tuttavia un grande zar, Pietro il Grande (1672-1725), e grande era davvero, alto più di due metri, ribaltò la prospettiva, volgendo la propria ammirazione a Occidente e avviando un’opera di modernizzazione della Russia tale da farla assomigliare ai nascenti imperi commerciali e politici dell’epoca, come l’Olanda o l’Inghilterra.

Pietro fondò la propria città capitale di San Pietroburgo, affidandone la realizzazione ad architetti italiani e fu il primo ad adottare il titolo di imperatore di tutte le Russie.

Curiosità: quante erano le Russie? Ai tempi di Pietro erano 3, la grande, la piccola e la bianca, corrispondenti a Russia, Ucraina e Bielorussia. Come vedete, la narrazione putiniana per cui l’Ucraina “non esiste”, viene da qua…

Ma dal punto di vista ucraino le cose stanno così? Potremmo dire di no. Già nell’Ottocento, grazie al letterato Taras Shevchenko, si sviluppò in Ucraina una precisa coscienza nazionale, in cui l’ucraino è una lingua a tutti gli effetti e non solo un dialetto russo.

Torniamo alla storia. Dopo Pietro, sebbene il francese fosse diventato lingua di corte, l’espansione russa tornò a guardare verso l’oriente siberiano e asiatico, fino a scontrarsi, nel corso dell’Ottocento, con l’imperialismo britannico. Qualcuno ha mai sentito parlare della guerra di Crimea del 1854, quella della famosa carica dei 600 di Balaklava? La guerra scoppiò per l’attacco russo alla Turchia, in soccorso della quale arrivarono Gran Bretagna, Francia e Regno di Sardegna: in particolare, per gli inglesi si trattava di impedire l’espansione russa nel Mediterraneo. Avete presente l’animosità di Boris Johnson contro la Russia che invade l’Ucraina? Ecco, la ruggine tra i vecchi imperi ha origini ben lontane.

Va ricordato poi che l’espansione russa a oriente raggiunse perfino il continente americano: con alcune colonie in California ma soprattutto con la acquisizione dell’Alaska; quest’ultima venne poi venduta agli Stati Uniti nel 1867 per, possiamo dire, pochi spiccioli; in tal modo l’impero zarista rinunciava ad avere un piede in America.

La Grande guerra rappresentò un punto di svolta totale. La rivoluzione di febbraio 1917, seguita da quella comunista di ottobre, pose fine all’autocrazia zarista ma permise anche, per la prima volta, la nascita di uno stato ucraino. Quello che Putin ha definito un “errore di Lenin”.

Quell’Ucraina aderì nel 1922 all’Unione Sovietica, ma negli anni precedenti fu sede di quelle armate “bianche” che si opponevano all’Armata “rossa”, specialmente in quell’area occidentale più legata alla cultura polacca e alla vecchia impronta austroungarica. Sono le regioni storiche della Volinia, della Lodomiria, della Galizia, nomi ben presenti ai nostri vecchi vivi in epoca asburgica.

Alla fine della Seconda guerra mondiale i confini della repubblica ucraina presero le sembianze mantenute fino ai giorni nostri: unica eccezione l’acquisizione della Crimea, che nel 1954 Nikita Krusciov ben pensò di “regalare” all’Ucraina staccandola dalla Russia.

Un regalo che la Russia si è ripresa nel 2014 unendo l’azione militare all’espressione della volontà popolare.

Ma arriviamo così al 1991, anno della dissoluzione dell’impero sovietico.

A partire da quello storico evento e fino alla fine del millennio, la Russia ha guardato nuovamente a ovest, tanto da prefigurare, prima con il presidente Boris Eltsin e poi col giovane successore (dal 1999) Vladimir Putin, di aderire perfino all’Alleanza Atlantica. Simbolo di questa stagione, l’ingresso della Russia nel G7, che divenne G8 e le vacanze, in Italia e Russia, con l’amicissimo Silvio Berlusconi. Ricordiamo però anche che nel 1999, l’attacco condotto dalla Nato alla Serbia, nel momento della “pulizia etnica” del Kosovo ma portato senza un mandato internazionale, ebbe un ruolo nel creare un raffreddamento nei rapporti tra la Russia e l’Occidente.

Un vento freddo che si rafforzò negli anni successivi. Qualcuno ricorderà la conferenza di Monaco del 2007: in quella sede il presidente russo presentò un manifesto di politica estera in cui accusava gli USA di voler imporre i propri standard ad altre nazioni, minacciando la Russia attraverso i programmi di scudi missilistici, di voler alimentare i conflitti globali attraverso l’uso unilaterale della forza, imponendo un proprio ordine mondiale. Dopo di che arrivarono la guerra in Georgia (2008) e nel 2014 la Crimea e il Donbas. E poi dal 2011 l’intervento nella guerra civile siriana.

Nel nome di un nuovo ordine mondiale da creare, alternativo a quello egemonico americano, Russia e Cina si sono abbracciate (non disinteressatamente), coinvolgendo, più o meno ambiguamente, alcuni importanti attori della scena asiatica come l’India. La Russia è tornata a guardare a est, cercando sponde al progetto di riunificazione sotto la sua guida del “mondo russo” smembrato alla fine dell’era sovietica. E in effetti, parlare di isolamento per la Russia aggreditrice è azzardato: vale per l’Occidente euro-americano, non per un’Asia che da sola contiene la metà della popolazione mondiale.

Resta un fatto: l’Ucraina del 2022 non è certamente quella del 1991 o quella del 2012. L’Ucraina ha continuato a guardare a occidente, a stringere legami e ambire ad alleanze che guardano all’Unione Europea e all’Alleanza atlantica. “Anche la parte di popolazione che era filorussa otto anni fa – ha dichiarato recentemente lo storico Andrei Zubov - oggi guarda all'Occidente. Nessuno vuole più unirsi alla Russia”.

Una Ucraina più europea rappresenta una minaccia al proprio potere: una democrazia all’occidentale ai propri confini permette e alimenta confronti, ragionamenti, dissenso. Anche in Russia.

Essere russofoni non comporta necessariamente essere russofili. Il campo di battaglia ha creato e rafforzato un’identità nazionale ucraina che se per Putin “non esisteva”, proprio l’aggressione ha cementato.

Ancora, la corsa dei paesi centroeuropei già nell’orbita sovietica a ripararsi sotto l’ombrello Nato trova ora palese giustificazione. Chi non c’è riuscito (l’Ucraina, chissà la Moldavia) ora sperimentano o temono un’aggressione.

In conclusione: se la geografia può alimentare una sorta di ambizione di unità eurasiatica (alla Orwell come in “1984”?) per un grande continente in cui Occidente e Oriente possono collaborare, la storia ci dice che si tratta di un obiettivo lontano. Ce lo dicono i fatti di questi ultimi mesi, ma di più l’inerzia presa dagli eventi ormai da 15 anni.

Lo scontro militare è ideologico, è tra democrazie e autocrazie, tra ordini mondiali consolidati e altri da definire. La guerra "per procura" degli Usa alla Russia una realtà.

A noi resta la sensazione di assistere alla “fine della pace” che per un ottantennio ha caratterizzato come mai prima, la storia europea. 


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