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Le sfide del 2021: ambiente, cultura, economia, politica, salute, sport

Per la Sat la parola di sfida è complementarietà

ven 15 gen 2021 21:01 • By: Lorena Stablum

La presidente Anna Facchini: «La pandemia ci ha messo alla prova ma ha fornito anche nuovi stimoli»

Anche per la Sat, con le sue 87 sezioni locali, il 2020 è stato un anno piuttosto complicato. La pandemia, che ha investito e travolto ogni settore dell’economia e della società, ha inevitabilmente inciso anche sull’associazione più grande del Trentino. Ma, come un buon alpinista che ha appreso la lezione silenziosa della montagna, ha superato gli ostacoli e ha colto l’occasione per rinnovare se stessa avviando un percorso di digitalizzazione che la porterà a essere sempre più vicina ai suoi numerosi soci. Dei cambiamenti in un certo senso imposti e delle sfide – culturali ed economiche – che la Sat dovrà affrontare ne parliamo con la presidente Anna Facchini.

Presidente, come la Sat ha vissuto e affrontato la pandemia?

Avevamo finito il 2019 sfiorando la quota dei 28.000 soci. Inutile dire che il 2020 ha lasciato sul campo circa 1.500 soci. Nei primissimi giorni di marzo, avevamo ancora in essere la campagna di tesseramento e stavamo superando i dati dello stesso periodo rispetto all’anno precedente. Con il lockdown, le sezioni sono state letteralmente chiuse e non hanno potuto fare attività sociale né in né outdoor. Questo ha fermato di fatto anche l’azione di raccolta delle quote associative sia per quanto riguarda i rinnovi che per i nuovi soci. Questo ha segnato una battuta d’arresto sulla progressione del tesseramento che, fortunatamente, ha ripreso vigore a lockdown finito, quando eravamo ormai a giugno. La ripartenza, almeno in parte, dell’attività sociale, unita all’importante investimento avviato nell’ultimo anno per quel che riguarda l’informatizzazione e la digitalizzazione, ci ha permesso di recuperare il gap che avevamo ad aprile sul tesseramento tanto da portarci, alla chiusura del 2020, a solo meno 1.500 soci rispetto all’anno precedente. Pensando a tutte le restrizioni e i limiti con cui hanno lavorato le sezioni, giudico straordinario questo risultato. L’obiettivo per quest'anno è quello di riposizionarsi come base sociale e ritornare almeno vicini ai numeri del 2019.

Il lockdown e la situazione sanitaria hanno imposto un ripensamento generale delle attività?

Certo, ed è stato molto interessante. Durante il lockdown, in moltissime sezioni quella che era l’attività tradizionale è stata sostituita da un’attività a sostegno delle comunità. Ci sono state sezioni che si sono messe a fianco dell’Azienda sanitaria e dei Comuni per portare la spesa a casa o medicinali alle persone più fragili così come, appena è stato possibile, si sono proposte con piccole passeggiate all’interno delle zone consentite dalle restrizioni. La pandemia ha toccato poi anche tutti gli aspetti amministrativi: le sezioni hanno una loro autonomia amministrativa e patrimoniale ed entro febbraio avrebbero dovuto tenere le proprie assemblee ordinarie. Ciò, in molte sezioni, non è stato possibile, visto il divieto di poter fare riunioni, e ha comportato di fatto il blocco di queste attività.

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Anche la sede centrale, inoltre, ha dovuto affrontare diversi aspetti sotto il profilo amministrativo e gestionale. Come in ogni azienda c’è stato un momento di smarrimento: la sede è rimasta chiusa per una decina di giorni, i dipendenti hanno usufruito di ferie e permessi e in alcuni casi si è fatto ricorso a qualche ora di cassa integrazione. La struttura doveva comunque continuare a lavorare e a quel punto abbiamo iniziato a sperimentare riunioni in videoconferenza. Anche durante il lockdown si sono svolte con la normale cadenza le riunioni del Consiglio e della Giunta e hanno continuato a essere attive anche la commissione amministrativo legale, per affrontare le emergenze amministrative e gestionali, e la commissione comunicazione e sviluppo. Non abbiamo voluto fermare infatti tutti quegli gli investimenti avviati nell’ambito della comunicazione.

Come siete riusciti a mantenere il rapporto con le sezioni e i soci?

C’è stato un generale processo di rinnovamento. Abbiamo imparato a conoscere e usare gli strumenti digitali e devo dire che c’è stata un’ottima risposta anche da parte dei soci. La sfida ora è quella di sfruttare di più e meglio queste tecnologie e i vantaggi della digitalizzazione dei processi di comunicazione, di informazione e di partecipazione. Alla fine di luglio, ad esempio, è entrata in funzione una web app che permette di avere la Sat sul telefonino senza dover scaricare un’app dagli Store. Abbiamo aperto i vari profili social, come Facebook, Instagram, LinkedIn e ora anche YouTube. Abbiamo imboccato questa strada che ci sta dando grandi soddisfazioni e risultati anche se c’è ancora molto da fare.

La Sat è però anche un soggetto economico. Quali sono le sfide su questo fronte?

In questo momento, 33 rifugi sono di proprietà della Sat. Il 34esimo, il rifugio Tonini, è da ricostruire dopo un incendio. Ciò significa che la Sat di questi rifugi è la proprietaria dei muri, ma poi ci sono 33 aziende che li gestiscono. Quindi, anche sotto il profilo economico per la Sat le preoccupazioni legate alle restrizioni sono state forti, fortissime perché i rifugi dati in affitto significano ricavi e margini per mantenere, attraverso lavori ordinari e straordinari, in efficienza e qualitativamente accoglienti le strutture stesse. La Sat finanzia i lavori ricorrendo a contributi pubblici provinciali, in buona parte, e con il sostegno del Cai, di cui la Sat è la sezione più grande. Sappiamo tutti però che le risorse pubbliche sono in calo e lo saranno ancora di più nei prossimi anni. Tra gli obiettivi strategici, inseriti nella reazione della presidente approvata dall’assemblea dei delegati di dicembre, quindi c’è la ricerca di risorse finanziarie integrative. Da qui, la voglia di avvicinarsi al mondo delle imprese attraverso la creazione di collaborazioni e sponsorizzazioni.

Presidente, veniamo agli aspetti culturali, più legati al mondo di valori della Sat.

Rifugio Peller

Il primo articolo dello statuto della Sat parla di cultura delle popolazioni di montagna e di tutela dell’ambiente e da sempre la Sat ha promosso iniziative per realizzare questi scopi statutari. I soci, durante il processo partecipativo che ha portato al congresso del 2019, ci hanno affidato un preciso mandato indicandoci chiaramente come la Sat debba rimettere al primo posto delle proprie iniziative e attività culturali l’ambiente e la sua tutela. Al secondo posto, vengono poi i temi legati alla comunicazione e all’informazione e solo al terzo posto il tema dell’alpinismo.

Un’ultima domanda. Quali sono invece le sfide per la montagna? La pandemia impone di rivedere il modello di fruizione della montagna?

Il genere umano è strano. Negli ultimi 10, 20 anni ci sono stati studi e approfondimenti che hanno generato delle linee di pensiero e di indirizzo - che sono anche della Sat - finalizzate proprio a un recupero della montagna sotto il profilo di un turismo a passo lento, che permette di osservare, imparare e conoscere. Se ne parla per anni e tutto sembra scorrere via, sembrano solo delle filosofie che vengono da parte di chi vede la montagna dalla città. Dopodiché arriva il Covid che ci impone di assumere determinati comportamenti. Ed ecco che si va a recuperare questi concetti: improvvisamente tutti parlano di nuovi modelli. Ma cosa significa nuovo modello? C’è un intero tessuto economico e sociale che è cresciuto pensando che la crescita debba essere sempre sostenuta su livelli lineari, sempre con il segno più. Ma la domanda è fino a quando si può crescere linearmente in un territorio che è limitato e finito nel senso che ha dei confini? Perché continuare su modelli di crescita sempre esponenziale? Questo la Sat lo sta dicendo da tanti anni. Ciò non significa dire di no all’industria dello sci e non vuol dire nemmeno di no all’utilizzo del territorio a fini turistici. Ma l’obiettivo dovrebbe essere l’integrazione, o meglio la complementarietà. Mi spiego: siamo tutti convinti che non ci sia alternativa allo sci alpino, ma esistono anche forme di pratiche sportive complementari allo sci alpino. E nel momento in cui non giudichi più lo sci come l’unica offerta possibile, non è più possibile pensare a un modello di sviluppo che preveda investimenti largamente maggioritari sullo sci alpino. La situazione attuale, con gli impianti chiusi, creerà degli scompensi sociali fortissimi, ci sono famiglie intere vivono grazie al cosi detto “indotto” allo sci. Se gli impianti non aprono, non aprono i bar, le pizzerie e i ristoranti. Questa è la drammaticità della situazione: non essere stati capaci nel tempo di comprendere che il Trentino si può permettere di avere modelli di sviluppo che propongono attività e imprese tra loro complementari.



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