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Andiamo per malghe

L’alchimia della malga

ven 23 dic 2022 10:12 • By: Alberto Mosca

Sul pascolo con Adriano Dalpez, tra storia, identità e prospettive

Adriano Dalpez: la cantina di affinanamento

La versione che Adriano Dalpez propone per descrivere lo stato dell’arte in materia di prodotti di malga, prende le mosse dalla storia. Citando autori come Arvedi e Stoppani, i primi a parlare di pascoli e casari come valori dell’economia solandra. Ma anche gratificando di particolare riguardo la Val di Rabbi, “la valle delle malghe”, i cui casari nella seconda metà dell’Ottocento erano assidui frequentatori dei corsi di aggiornamento tecnico-scientifico che l’autorità provinciale tirolese organizzava per migliorare il prodotto in “salubrità e qualità”. In questo contesto il formaggio di malga era ancora “l’unico formaggio”, mentre le piccole produzioni domestiche erano appena sufficienti per l’autoconsumo familiare. La malga insomma come centro motore di una “civiltà rurale montana avanzata”, come del resto lo era stata fin dal medioevo per l’economia sia signorile che comunitaria. Andiamo nei dettagli.

I fondamentali per il successo della malga. Per Dalpez prima di tutto serve un “movimento culturale”, come quello che sta dietro e anima i destini di formaggi come il Bitto, il Bettelmatt e il Bagoss; poi serve un “marchio distintivo”, per promuovere il prodotto e anche solo per mantenere vivo un dibattito nei momenti di difficoltà. Partendo dalla valorizzazione di una tradizione e di risorse più uniche che rare: in primo luogo la “ricchezza di acqua che permetteva di raffrescare il latte, condizione fondamentale per dare sviluppo alla caseificazione; basti pensare che appena al di là del Tonale si trovano piccoli caseifici in quota, in cui la ‘caserada’ avviene a mattina e sera e le vacche si mungono là dove si trovano”; insomma dare respiro ad una “cultura del territorio e del prodotto, in cui fino al 1870, quando nacquero i caseifici sociali, il formaggio per antonomasia era solo quello di malga. Il formaggio di malga – assicura Dalpez - ha questo valore che viene dalla storia, da un’organizzazione e dal valore che si dava al tempo: il formaggio di malga si tagliava un anno dopo, era delitto farlo prima. Per i consumi quotidiani c’era quello del casèl…”

La gerarchia della malga. Quella del “casàr” era una figura primaria nell’economia del paese, in quadrumvirato col parroco, il sindaco e il medico… L’organizzazione della malga era improntata ad una rigida gerarchia, con in testa il casaro e il vaccaro, seguiti dal “vacaról”, quello che stava al pascolo col bestiame, e dal “malghelìn”, incaricato della pulizia e della realizzazione della “poina”; più in basso lo “sboacìn”, che puliva la stalla e irrorava il pascolo coi liquami…

La qualità del pascolo. Determinante. Se il formaggio di malga in Val di Sole parte da buoni fondamentali, la qualità del pascolo dà grande qualità e anche una graduatoria: a Rabbi storicamente ai primi posti c’erano Palù, Cercen, Tremenesca, Maleda. Il pascolo d’estate e il fieno d’inverno erano il nutrimento, senza integrazioni; oggi tutti, chi più chi meno, integrano con il mangime.

Le vacche. La vacca storica delle nostre malghe era la Grigia alpina (“Zàghjera”), rustica, adatta alla vita in montagna anche se meno produttiva; poi nell’Ottocento comparve dalla Svizzera la Bruna alpina, numero uno per qualità casearia; negli ultimi trent’anni sono comparse la pezzata nera e rossa, mentre la Grigia e la Bruna hanno declinato. “Ancora – spiega Dalpez – la vacca che era stata in malga valeva di più sui mercati del bestiame d’autunno; allo stesso modo l’unico formaggio che si vendeva bene era quello di malga. Il lavoro umano, la mano del casaro, faceva la differenza. L’erba cambia ogni giorno con il tempo atmosferico e l’andamento della stagione; così il latte cambia ogni giorno e il casaro serio lo sa”.

Quale evoluzione? Il modello padano ha influenzato anche noi e il sistema non vede bene l’alpeggio, in nome del totale conferimento del prodotto; tant’è vero che si inventato il lattodotto per portare la materia prima dalla malga al caseificio in valle… Le differenti tipologie di formaggi di moda sul mercato sono arrivate anche da noi, per cui la malga è diventata quasi una bella fotografia, con il prodotto tradizionale lasciato in secondo piano. Il livello di esso si è abbassato e quindi il numero delle malghe che caseificano: in mezzo secolo, in Trentino siamo passati da 500 malghe da formaggio a 90, con zone che resistono come la Val di Sole, Lagorai, Vezzena. Il formaggio tradizionale adatto alla stagionatura ha perso terreno in favore di quelli giovani e freschi…

Meno folclore, più identità. Per Dalpez “oggi l’alpeggio è spesso ridotto a folclore, tra caserade in piazza e la retorica delle mani callose…” Manca il discorso sul prodotto, secondo un programma avviato in Camera di Commercio, con l’attenzione sull’identificazione del prodotto, immagine e sostanza. Dal confronto coi produttori e Fondazione Mach è nato il marchio provinciale “Trentino di Malga”, che si è diffuso anche in Val di Sole. Un marchio nato nell’evento “Asta dei formaggi di malga”: un percorso tra storia e prodotto organizzato da APT Val di Sole e dal Presidente Luciano Rizzi.

Fermalga. È il nome di un fermento nato dalla ricerca di Fondazione Mach con CCIA nel 2000: “Partendo dall’analisi del nostro latte – spiega Dalpez – questo fermento ha dimostrato di funzionare molto bene. Scaturito dall’analisi di tre diversi areali trentini, sta dando ottimi risultati, capace come è di trasmettere i sapori del latte e del pascolo. Un passo avanti per un serio discorso identitario”.

L’importanza di un marchio di territorio. Per Dalpez il marchio “Trentino di Malga”, pur di grande valore, non decollerà mai. Deve essere maggiormente identificato con il territorio, capace di rispecchiare le diverse lavorazioni e con una forte capacità distintiva. Come si fa col vino, dobbiamo identificare il “vero” formaggio di malga tradizionale e marchiarlo. “Serve un dialogo tra casari e produttori, che se condiviso potrebbe a breve portare ad un patto che arrivi a questo risultato. Poi ognuno potrà fare quello che vuole con altre tipologie di formaggio, ma sulle malghe si manterrà la tradizione e si identificherà precisamente una tipologia e una lavorazione, tale da creare un formaggio tale da diventare d’annata”.

L’alleanza con il turismo. Un’immagine coerente con la storia e la grandissima tradizione che noi abbiamo (e altri no, sottolinea Dalpez) è fondamentale: che in prospettiva va legata al turismo. “Ma senza trasformare le malghe in ristoranti dove chiude il “casèl” e fuori pascolano un po’ di vacche asciutte”. L’altra prospettiva vera è quella del riconoscere valore al pascolo e con un maggiore protagonismo, anche della cooperazione, nella gestione delle malghe. E sul prodotto serve, pur adeguandosi alla rete commerciale italiana, ad un cambio di mentalità che abbraccia una clientela che esiste e cerca qualità: “Ma se alla Metro trovo il casolét a €5,90, di cosa stiamo parlando? O quando poni la questione del latte crudo per il casolét e ti dicono che il latte è ben crudo quando va nel termizzatore…?”

Una riflessione sul lungo periodo. “Prendo esempio dall’alpinismo e dall’approccio alla montagna da parte dei giovani. Sul Brenta vedo famiglie, ma della mia età pochi. L’approccio alla montagna è diverso, ma c’è. Una prospettiva c’è sicuramente e ci sarà sempre più bisogno di montagna. Cambiano le esigenze e i modi, ma la malga rimane e così il suo prodotto. Purché, una volta riconosciuto il valore della tradizione e dell’identità, lo vendiamo col prodotto, senza vuoto folclore. Abbiamo un punto di riferimento che è patrimonio comune, da cui partire per lavorare e perseguire sulle malghe una qualità distintiva di prodotto e una coerenza con la storia e il rispetto del consumatore. C’è una buona passione, per il bestiame e per la malga: partiamo da qua! L’attenzione e la sensibilità al prodotto ci sono ancora ma non per tutta la filiera, come per esempio per l’affinamento. Il formaggio ha bisogno di grande cura. “El formài ‘l pol farlo ‘n mat, ma a laoràrlo ga da eser un savio”.



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