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“Nàrsin” l’è propi difizil…

gio 08 apr 2021 10:04 • By: Laura Abram

Andarsene: un verbo complicato

Andarsene, partire, lasciare… sono esperienze complesse, talvolta emotivamente difficili da elaborare; ma la considerazione che vorrei fare oggi, sempre sulla complicatezza del verbo andarsene, è di tutt’altra natura e tocca gli aspetti puramente grammaticali e morfologici di quest’espressione nel nostro dialetto.

Ho iniziato a riflettere su questo verbo nel momento in cui mi sono resa conto che viene costruito di volta in volta in maniera diversa dai vari parlanti. Per dire “me ne sono andato”, ad esempio, si possono sentire le varianti sen sinenà, me sen sinnà, me’n sen nà, me son ennà e via dicendo.

Tutte vogliono significare la stessa cosa e tutte ricompongono in maniera differente il sistema di clitici appartenenti a questo verbo. Con “clitici” si intendono delle particelle con valore di pronome o avverbio che si uniscono al verbo e si possono collocare davanti o dietro.

Nel caso del verbo andarsene troviamo due clitici: se, riflessivo intensivo, e ne, avverbiale con il significato di moto da luogo; entrambi si uniscono al verbo andare.

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Allo stesso modo li troviamo nella forma dialettale narsin (nar + si + n). Come già detto, questi clitici si possono spostare davanti al verbo nel momento in cui viene coniugato; abbiamo infatti le forme “me ne vado”, “se ne è andato” ecc. In dialetto, invece, la situazione si complica e queste particelle si mescolano e si moltiplicano in maniera curiosa.

Prendiamo ad esempio l’espressione “me sen sinnà”: vediamo nell’ordine il clitico riflessivo me, il verbo ausiliare essere, di nuovo il clitico riflessivo si, il clitico ne e infine il verbo nar coniugato (me sen si + ne + nar). Sembra dunque che il verbo di origine non sia più narsin ma qualcosa di simile a *sinenarse. La stessa cosa si può dire di “sen sinenà”: anche questo verbo è costruito come se derivasse dalla forma, inesistente, *sinenar.

Pensando ad altri verbi la costruzione è la stessa: sautar > “sen sautà”, sciampar > “sen sciampà”, *sinenar > “sen sinenà”. È curioso notare questo fenomeno, che sembra presente solo nelle forme composte dei verbi, quelle che, arricchite da un ausiliare, risultano di costruzione più articolata.

Al presente, infatti, il problema non si pone: si dice “mi ‘n von”, riordinando i clitici senza duplicarli, come abbiamo visto per l’italiano. Emerge tuttavia anche in dialetto la forma regolare “me’n sen nà”, ma suona meno scorrevole, basti pensare anche alla terza persona “el si n’è nà” che diventa spesso “l’è sinenà” o “el s’è sinnà”, forme probabilmente di più facile pronuncia.

È bello notare come la spontaneità del parlato, priva di riflessioni linguistiche teoriche, abbia portato alla creazione di questi strani ibridi, compresi da tutti e accolti nel sistema del dialetto senza difficoltà.



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