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Ricordi dalla Sierra Leone: nel segno di Gino Strada

lun 23 ago 2021 13:08 • By: Lorena Stablum

Reportage da Freetown, alla scoperta di un ospedale di Emergency: oasi di pace e aiuto in un mondo di sofferenza

SIERRA LEONE. Un’oasi di pace, tranquillità e pulizia in mezzo tanta miseria, sporcizia e a un’umanità diseredata e afflitta. La recente scomparsa di Gino Strada, padre fondatore, insieme alla moglie Teresa Sarti, di Emergency e medico schierato in prima linea contro tutte le guerre, anche quelle che si vorrebbero “giuste” o investite di buoni principi morali ed etici, mi ha riportato alla mente il mio viaggio di qualche anno fa in Sierra Leone, lo stato più povero dell’Africa, con uno dei tassi più alti di mortalità infantile al mondo.

Vi arrivai nella primavera del 2018 con i volontari degli Amici della Sierra Leone onlus, l’associazione nata su ispirazione del padre missionario don Alberto Mengon, e in quell’occasione ebbi la fortuna di visitare uno dei tanti ospedali di Emergency, sorti in varie parti del globo per offrire cure medico chirurgiche gratuite e di elevata qualità alle vittime di conflitti e mine antiuomo e, in generale, alle popolazioni piegate dalla povertà e dalle epidemie.

Ho ancora vivide nella memoria le immagini di quei giorni, vissute con i miei compagni nel caldo africano. La struttura sanitaria sorge a Groderich, nei sobborghi della capitale Freetown, un’estesa baraccopoli di oltre un milione di abitanti situata all'estremità della penisola che dà nome allo stato, sull'imboccatura meridionale dell'estuario del fiume Roke, e, almeno fino ad allora, era l’unico ospedale di riferimento per la chirurgia e la traumatologia dell’intero Paese oltre a essere un centro pediatrico dal 2002.

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La ricordo come l’unica nota di colore nel bel mezzo di una città caotica, rumorosa e, per certi versi, asfissiante. Una macchia vivace di rosso che fendeva il marrone e il grigio delle case e dei palazzi abbruttiti dall’incuria e dalla miseria.

All’ospedale arrivammo dopo aver attraversato faticosamente la città sui nostri pick up che si muovevano a passo d’uomo tra il traffico delle macchine sgangherate e una folla di persone riversata in strada per vedere la propria mercanzia: cassawa, manghi, frutta e verdura e tanti altri oggetti di ogni forma e dimensione. Dai finestrini, a destra e a sinistra, si poteva osservare una selva infinita di edifici fatiscenti e malandati. Con stupore, misto a desolazione, mi resi conto presto che non c’era nulla o quasi di bello e ordinato da vedere finché non raggiungemmo la meta del nostro viaggio di quel giorno: l’ospedale di Emergency che eccezionalmente ci apriva le porte. L’entrata, con i suoi fiori colorati e le aiuole curate, fu qualcosa che ebbe la capacità di rinfrancarmi un po’ lo spirito. Ci accolse una gentile dottoressa responsabile della struttura sanitaria, che nell’accompagnarci ci chiese però la cortesia di non documentare con immagini l’interno. Muovendoci in ambienti lindi, il cui colore dominante era il bianco, ci raccontò con dovizia di particolari l’attività svolta dall’ospedale fin dalla sua fondazione, nel 2001, della guerra civile che mise in ginocchio il paese, dell’epidemia di ebola che lo distrusse definitivamente e delle migliaia di donne, uomini e bambini (fino a oggi oltre 840.000, si legge sul sito dell’associazione), aiutate e curate. Ci spiegò come si svolgeva una giornata nella struttura, in che modo le famiglie potevano accedere al servizio e come era strutturata la sanità sierraleonese. Con pazienza, rispondeva alle nostre curiosità e alle tante domande che affollavano le nostre bocche. Fu per me un’esperienza straordinaria e ricca di significato per la quale ringrazierò sempre Luigi Guarnieri, presidente degli Amici della Sierra Leone, che volle che lo accompagnassi in quel viaggio. In quel pomeriggio, ebbi modo di vedere da vicino ciò che Gino Strada intendeva quando dichiarava che “Essere curati è un diritto di tutti. Senza discriminazioni”.



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