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Essere cristiani fuori del tempio

dom 05 set 2021 12:09 • By: Renato Pellegrini

Il parroco della Val di Rabbi riflette sulla crisi afghana

Il conflitto afghano (Credits: ANSA/AFP)

VAL DI SOLE. «Le immagini che vediamo dall'Afghanistan, della gente accalcata nel fango e poi delle mamme che gettano i bambini oltre il filo spinato, sono come veder gettare il proprio cuore, il nostro cuore è un profugo in questo mondo. Anche io ho il desiderio di gettare il mio cuore oltre il filo spinato, perché quelle immagini che vediamo riguardano me. Io sono loro, io sono quel bambino, loro sono tutte le facce del Cristo». Lo ha detto Roberto Benigni a Viareggio (Lucca) dove ha ricevuto il premio speciale Città di Viareggio.

Benigni ha ripreso le parole della vincitrice della sezione narrativa Edith Bruck secondo la quale «viviamo in un mondo di profughi» nel quale dobbiamo aiutare tutti. Questo è davvero l’invito per ogni cristiano, perché il giudizio di Dio non avviene nell’aldilà, ma ora nelle situazioni drammatiche che viviamo: «Avevo fame, e mi hai dato da mangiare, ero straniero e mi hai accolto». Compito non semplice, dove le contraddizioni dell’Occidente scoppiano tutte.

Il presidente Mattarella, sconcertato, ne ha messo subito in evidenza una, forse tipica dei politici che non guardano al bene delle generazioni future, ma al risultato elettorale imminente. Sferza le classi dirigenti: «So bene che molti Paesi sono frenati da preoccupazioni elettorali contingenti.

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È una rinuncia, un'abdicazione della politica ai suoi doveri. Sono sorpreso dalla posizione di alcuni movimenti e di alcuni esponenti nei vari Paesi europei», rigorosi nel chiedere il rispetto dei diritti umani nei luoghi più remoti ma distratti di fronte alle sofferenze dei migranti. In tutto questo dove stanno i cristiani? Sono ancora consapevoli del messaggio di Cristo per un mondo nuovo, più umano? Ci sono per la verità testimoni autentici, dentro e fuori la chiesa, di un amore che non si arrende. Sono doni, che appaiono raramente, ma quando li incrociamo, ci danno la sensazione di un bicchiere di acqua fresca e limpida dopo ore di arsura. La Bibbia non è un libro facile. Bisogna leggerlo e meditarlo con frequenza, lasciandosi stupire e anche scandalizzare, lasciandosi interrogare e stimolare nel cercare il messaggio che fa per me, per noi. Io leggo e rileggo le Scritture. Non le trovo per niente ripetitive e monotone. Ne colgo invece la portata rivoluzionaria, di una rivoluzione pacifica, non violenta, ma che scava in profondità nel mio cuore. Ad esempio, con un minimo di attenzione, vi scopro che Cristo non è venuto per fondare una religione organizzata, ma una non organizzata. «Che è venuto per portare la religione fuori dal tempio e in mezzo ai capi e ai pascoli, lungo le strade e sulle rive dei fiumi, nelle case dei peccatori e dei pubblicani, nelle città come nella natura selvaggia, verso la fratellanza di tutto ciò che esiste». (Wendell Berry)

Non pronuncia parole simili anche papa Francesco, quando richiama alla fratellanza universale, quando insiste sul fatto che non c’è un luogo dove incontrare Dio, perché Egli abita ogni posto? Per tornare ai profughi dell’Afganistan e a tutti gli altri, la Scrittura non suggerisce soluzioni. Queste sono solo in mano nostra. Possiamo forse tenere come preziosa un’indicazione: dopo la fase terrificante dell’esodo, inizia quella della solidarietà. Adesso dobbiamo prenderci cura di chi è arrivato fra noi, continua a ringraziare in maniera commovente il nostro Paese e le organizzazioni che qui le hanno portate: le nostre istituzioni, prima fra tutte il Ministero della Difesa, i nostri militari, le organizzazioni che hanno permesso che tutto questo succedesse. Più che mai il grande pericolo per i credenti di oggi (ma anche di ogni tempo) «è di vivere una religione dal cuore lontano e assente, nutrita di pratiche esteriori, di formule, di riti, di incensi, di musiche e di ori nelle liturgie, ma poi lontana dai poveri e dagli stranieri». (Ermes Ronchi, teologo) Non spegniamo la luce!



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