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El ziro del léz

lun 27 set 2021 09:09 • By: Laura Abram

Viaggio nell'origine di una parola popolare anche nel turismo

Un tratto del lec di Tovel

Durante lo scorso fine settimana mi sono ritrovata a percorrere una bellissima passeggiata fra vigneti e meleti in Alto Adige. Trovare l’imbocco del sentiero è stata, però, un’impresa, perché mi ostinavo a inserire in Google Maps le diciture italiane che trovavo sui vari siti per turisti, come ad esempio “passeggiata eno-didattica” o “sentiero panoramico”.

Ad un certo punto abbiamo deciso di seguire i cartelli stradali anziché il navigatore e siamo arrivati al parcheggio di questa Waalweg. Ho immediatamente cercato di capire il significato del termine, ma la parola waal sembrava inesistente sui dizionari online. Mi rimandava all’olandese, oppure la considerava digitata erroneamente. Ho deciso di non pensarci e mi sono goduta il panorama. Durante il tragitto abbiamo trovato vari cartelli con spiegazioni circa il paesaggio e le coltivazioni della zona e ad un certo punto mi è caduto l’occhio sulla dicitura “waal (roggia)”.

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Come avevo fatto a non pensarci? Il percorso si snoda infatti lungo un piccolo canale irriguo, in dialetto altoatesino waal. Cercando meglio si scopre che la tecnica tradizionale di irrigazione in Tirolo, già a partire dal XIII secolo, si basava sull’utilizzo di piccoli canali o rogge.

Il principio è lo stesso del nostro léz. In quanti paesi della Val di Non esistono il “giro del léz” o passeggiate dal nome simile? Esse percorrono, infatti, il corso di questi vecchi canali d’irrigazione, piccoli acquedotti a cielo aperto. Ma allora la parola nonesa e/o solandra léz/léc da dove viene?

Curiosa e originale è la sua etimologia, che da molti studiosi della lingua è fatta risalire a una radice ipotetica *eliciu, a sua volta derivata dal termine latino ELIX - ELICIS che significa letteralmente “fossato, canale”. L’evoluzione linguistica dal latino all’italiano e ai suoi dialetti ha causato la perdita della vocale iniziale, detta aferesi, di quella finale, detta apocope, e il leggero abbassamento della vocale I, mutata in E.

Si è giunti, quindi, in determinate zone della valle, al vocabolo léć (pronunciato con la c di cena) e in altre a léz. Lo stesso Meyer-Lübke nel suo grande dizionario etimologico, il REW, alla voce ēlix, -ĭce riporta come unico esempio di derivazione il noneso léć!

Non so se in questo caso mi abbia colpita di più l’affinità culturale o quella di costruzione linguistica tra i due termini léz e waalweg, ma ciò di cui rimango convinta è che le cose abbiano bisogno di un nome per esistere, altrimenti non le notiamo, non riusciamo a concepirle. E qui sta la vera magia della lingua.



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