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L’Ucraina, il papa e noi

dom 14 ago 2022 10:08 • By: Renato Pellegrini

Francesco ci esorta a domandarci: 'che cosa posso fare io per la pace?'

Papa Francesco, tornato dall’impegnativo “pellegrinaggio penitenziale” in Canada, ora guarda all’Ucraina. Vuole recarvisi presto, salvo naturalmente imprevisti sempre possibili in un contesto di conflitto armato.

La data è ancora incerta, ma c’è chi sussurra che potrebbe essere prima del viaggio in Kazakistan previsto per i giorni 13 – 15 settembre prossimi. L’ambasciatore ucraino in qualche modo lo conferma, anche perché, dice che l’Ucraina da tanto tempo aspetta il Papa. La missione del pontefice è comunque piuttosto delicata: Zelensky non accetterebbe di buon grado l’arrivo di Bergoglio dopo l’incontro che potrebbe avere con il patriarca di Mosca Kirill, previsto a Nur-Sultan, capitale kazaka, il 14 settembre.

Francesco e Kirill hanno idee distantissime sulla guerra e la responsabilità della Russia di Putin di avere invaso un Paese sovrano. Nei confronti del patriarca non sono certo mancate le prese di distanza papali e vaticane, ma un abbraccio fra i due non alimenterebbe certamente una distensione. Cosa potrà fare Francesco, armato solo della parola del Vangelo? Umanamente sembrerebbe nulla. Forse solo dare coraggio, far sentire solidarietà, infondere speranza. Compito anche questo tutt’altro che facile.

Mi vengono in mente le parole di Carlo Emilio Gadda in «Giornale di guerra e di prigionia»: “Mie condizioni spirituali terribili, come nei peggiori momenti della mia vita… Fine delle speranze, annientamento della vita interiore.

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Angustia estrema per la patria, per la mia povera patria, per la mia terra…” Eravamo nel 1917. Quante donne e uomini, quanti anziani e giovani oggi in Ucraina soffrono per le stesse paure, per un futuro che si fa sempre più scuro? Non c’è solo il papa che deve dire parole di pace e testimoniare quanto sia dannosa la violenza. “Ognuno può dire concretamente ‘no’ alla violenza per quanto dipende da lui o da lei. Perché le vittorie ottenute con la violenza sono false vittorie; mentre lavorare per la pace fa bene a tutti”, così ripete Francesco. E Aldo Capitini scriveva nel 1936 nell’indifferenza generale se non nell’ostilità, anche delle gerarchie ecclesiastiche di allora, ancora legate alla teologia della guerra giusta: "Tanto dilagheranno violenza e materialismo, che ne verrà stanchezza e disgusto".

Con il pontificato di Bergoglio l’annuncio profetico della nonviolenza si è fatto costante e preciso. In quest’uomo di religione è presente la convinzione che “la nonviolenza è il punto della tensione più profonda tesa al sovvertimento di una società inadeguata”. Di questa tensione abbiamo bisogno per affrontare positivamente una violenza crescente, in campo internazionale e interno ai diversi Paesi, compreso il nostro.
Papa Francesco ci esorta a domandarci "che cosa posso fare io per la pace?"
Si può rispondere  ancora con le parole di Capitini: vogliamo "sottrarre l'anima ad ogni collaborazione con l'errore della violenza, ed instaurare subito, a cominciare dal proprio animo (che è il primo progresso), un nuovo modo di sentire la vita: il sentimento che il mondo ci è estraneo se ci si deve stare senza amore, senza una apertura infinita dell'uno verso l'altro, senza una unione di sopra a tante differenze e tanto soffrire. Questo è il varco attuale della storia".

Stare al mondo senza violenza, costruendo una mentalità di pace è compito di tutti, come lo è convincersi che non saranno mai le armi a risolvere i problemi tra gli stati e le persone. La costruzione e il commercio delle armi va fermato. Creare le condizioni per cui questo avvenga riguarda ciascuno, sempre. Il papa continua a ribadire che per risolvere le ostilità «l'unica cosa ragionevole da fare sarebbe fermarsi e negoziare», e si augura «che la saggezza ispiri passi concreti di pace». I cittadini e le cittadine possono creare nel mondo quella mentalità per cui la guerra e la violenza, in qualunque parte facciano la loro apparizione, offendono e feriscono tutti.



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