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Santo Stefano, il primo martire

lun 26 dic 2022 12:12 • By: Giada Gasperetti

Nelle valli del Noce sono tre le chiese a lui intitolate: a Cloz, Revò e Vermiglio

Elia Naurizio, Il martirio di Santo Stefano. Vermiglio, chiesa di Santo Stefano, 1638

La celebrazione liturgica di Santo Stefano è stata da sempre fissata al 26 dicembre, subito dopo il Natale, perché nei giorni seguenti alla manifestazione di Gesù, furono posti i comites Christi, cioè i più vicini nel suo percorso terreno e primi a renderne testimonianza con il martirio. Così, se al 26 dicembre c’è Santo Stefano primo martire della cristianità, al 27 troviamo San Giovanni Evangelista, il prediletto da Gesù e autore del Vangelo dell’amore, mentre il 28 i Santi Innocenti, i bambini uccisi da Erode.

Stefano è stato il primo dei sette diaconi scelti dalla comunità cristiana perché aiutassero gli apostoli nel ministero della fede. Venerato come santo da tutte le Chiese che ammettono il culto dei santi, fu il protomartire, cioè il primo cristiano ad aver dato la vita per testimoniare la propria fede in Gesù Cristo e per la diffusione del Vangelo. È considerato anche protodiacono: fu il primo e forse il più importante dei diaconi eletti in Gerusalemme.

Di Santo Stefano si ignora la provenienza: si suppone fosse greco visto che in quel tempo Gerusalemme era un crocevia di tante popolazioni, con lingue, costumi e religioni diverse. Il nome Stefano in greco ha il significato di “coronato”. Si pensa anche che fosse un ebreo educato nella cultura ellenistica. Certamente fu uno dei primi giudei a diventare cristiano e prese a seguire gli Apostoli.

A quei tempi i dodici Apostoli riunirono i discepoli dicendo loro che non era giusto che essi disperdessero il loro tempo nel “servizio delle mense”, trascurando così la predicazione della parola di Dio e la preghiera, pertanto questo compito doveva essere affidato ad un gruppo di sette di loro. La proposta fu accettata e vennero eletti Stefano, Filippo, Procoro, Nicanore, Timone, Parmenas e Nicola di Antiochia.

Nell’espletamento di questo compito, Stefano compiva grandi prodigi tra il popolo e predicava, soprattutto fra gli ebrei della diaspora, che passavano per la città santa di Gerusalemme e che egli convertiva alla fede in Gesù crocifisso e risorto.

Nel 33 o 34 gli ebrei ellenistici, vedendo il gran numero di convertiti, aizzarono il popolo e accusarono Stefano di “pronunziare espressioni blasfeme contro Mosè e contro Dio”.

Gli anziani e gli scribi lo catturarono trascinandolo davanti al Sinedrio di Gerusalemme, l’organo preposto all’emanazione delle leggi e alla gestione della giustizia, e con falsi testimoni fu accusato: “Costui non cessa di proferire parole contro questo luogo sacro e contro la legge.

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Lo abbiamo udito dichiarare che Gesù il Nazareno distruggerà questo luogo e cambierà le usanze che Mosè ci ha tramandato”.

Alla domanda del Sommo Sacerdote “Le cose stanno proprio così?”, il diacono Stefano pronunciò un lungo discorso in cui ripercorse la Sacra Scrittura dove si testimoniava che il Signore aveva preparato per mezzo dei patriarchi e profeti l’avvento del Giusto, ma gli Ebrei avevano risposto sempre con durezza di cuore.

Mentre l’odio e il rancore dei presenti aumentava, elevando grida altissime e tappandosi le orecchie, i presenti si scagliarono su di lui e a strattoni lo trascinarono fuori dalle mura della città e presero a lapidarlo con pietre. In realtà non fu un’esecuzione, in quanto il Sinedrio non aveva la facoltà di emettere condanne a morte, ma non fu in grado nemmeno di emettere una sentenza in quanto Stefano fu trascinato fuori dal furore del popolo, quindi si trattò di un linciaggio incontrollato. Gli Atti degli Apostoli dicono che persone pie lo seppellirono, non lasciandolo in preda alle bestie selvagge, com’era consuetudine allora, mentre nella città di Gerusalemme si scatenò una violenta persecuzione contro i cristiani, comandata da Saulo.

È possibile fissare con una certa sicurezza la data della sua morte per la modalità con cui avvenne: il fatto che non sia stato ucciso mediante crocifissione (ovvero con il metodo usato dagli occupanti romani), bensì tramite lapidazione, tipica esecuzione giudaica, significa che la morte di Stefano è avvenuta nel 36 d.C., durante il periodo di vuoto amministrativo seguito alla deposizione di Ponzio Pilato, il quale si era irrimediabilmente inimicato la popolazione per l'eccesso di violenza usata per sedare la cosiddetta rivolta del monte Garizim.

Dopo la morte di Stefano, la storia delle sue reliquie entrò nella leggenda. Il 3 dicembre del 415 un sacerdote di nome Luciano di Kefar-Gamba, ebbe in sogno l’apparizione di un venerabile vecchio in abiti liturgici, con una lunga barba bianca e con in mano una bacchetta d’oro con la quale lo toccò chiamandolo tre volte per nome. Gli svelò che lui e i suoi compagni erano dispiaciuti perché sepolti senza onore, che volevano essere sistemati in un luogo più decoroso e che desideravano che fosse dato un culto alle loro reliquie. Il prete Luciano domandò chi fosse e il vecchio rispose di essere il dotto Gamaliele che istruì San Paolo, i compagni erano il protomartire Santo Stefano che lui aveva seppellito nel suo giardino e San Nicodemo suo discepolo.

Infine indicò il luogo della sepoltura collettiva. Con l’accordo del vescovo di Gerusalemme, si iniziò lo scavo con il ritrovamento delle reliquie. La notizia destò stupore nel mondo cristiano, ormai in piena affermazione, dopo la libertà di culto sancita dall’imperatore Costantino un secolo prima.

Da qui iniziò la diffusione delle reliquie di Santo Stefano per il mondo conosciuto di allora. Una piccola parte fu lasciata a prete Luciano che a sua volta le regalò a vari amici, il resto fu traslato il 26 dicembre 415 nella chiesa di Sion a Gerusalemme.

Molti miracoli avvennero con il solo toccarle, addirittura con la polvere della sua tomba. Poi la maggior parte delle reliquie furono razziate dai crociati nel XIII secolo, cosicché ne arrivarono effettivamente parecchie in Europa, sebbene non si sia riusciti a identificarle dai tanti falsi proliferati nel tempo a Venezia, Costantinopoli, Napoli, Besançon, Ancona, Ravenna, ma soprattutto a Roma, dove nel XVIII secolo si veneravano il cranio nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, un braccio a Sant’Ivo alla Sapienza, un secondo braccio a San Luigi dei Francesi, un terzo braccio a Santa Cecilia e addirittura quasi un corpo intero nella Basilica di San Lorenzo fuori le Mura.

La proliferazione delle reliquie testimonia il grande culto tributato in tutta la cristianità al protomartire Santo Stefano, già veneratissimo prima ancora del ritrovamento delle reliquie nel 415: chiese, basiliche e cappelle in suo onore sorsero dappertutto.

Il suo attributo sono le pietre della lapidazione, per questo è invocato contro il mal di pietra, cioè i calcoli ed è il patrono dei tagliapietre e muratori.

Ancora oggi in Italia vi sono ben 14 Comuni che portano il suo nome, e nelle valli del Noce è patrono degli abitati di Cloz, Revò e Vermiglio. 



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