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I pastori del presepe e noi

sab 24 dic 2022 16:12 • By: Renato Pellegrini

E oggi chi accorrerebbe alla grotta per incontrare quel misterioso bambino?

Il presepio alpino nella chiesa di San Rocco di Cles

Duemila anni fa, secondo quanto racconta Luca nel suo Vangelo, a far visita a Gesù furono per primi i pastori, uomini che «vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge». E «un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l’angelo disse loro: “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia. Oggi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”».

Erano persone semplici, che non godevano di buona fama. Oggi gli chiameremo «ultimi», «emarginati». E oggi chi accorrerebbe alla grotta per incontrare quel misterioso bambino? I rider che sfidano il freddo delle nostre città per pochi euro? I migranti sui barconi? I disoccupati? I raccoglitori di pomodori vittime del caporalato? I clochard che dormono sulle panchine coperti da qualche cartone? Gli anziani soli? Le badanti dell’Est? Il popolo dell’Ucraina? Io credo che in lunghe file, che camminano per giungere alla capanna ci sono certamente donne e uomini che sanno ascoltare in un mondo di sordi, ci sono i giovani, gli sconfitti dai processi di globalizzazione, ma anche i rifugiati, i rom, i popoli in movimento alla ricerca di condizioni migliori di lavoro e di vita. Tutti costoro hanno diritto di cittadinanza nel presepe. Ma cosa è davvero accaduto a Betlemme, quando il Figlio di Dio si è fatto uomo? Luca, usando l’immagine dei pastori, ci dà un messaggio rivoluzionario, perché, ci dice il terzo evangelista, Dio non ha più bisogno di un tempio per visitare il suo popolo ma bivacca tra povera gente.

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Dio sceglie quelli che il mondo scarta.

Luca, sottolinea la teologa Rosanna Virgili, «contrappone la figura di Gesù, che viene dalle periferie, all’imperatore Augusto, il divus di Roma, ma anche ai passati re d’Israele, corrotti contro i quali si leva la querela dei profeti: “Guai ai pastori d’Israele, che pascono sé stessi!”». In uno dei trattati più famosi del Talmud (Sanhedrin 25) si afferma che i pastori non potevano essere eletti giudici né essere citati come testimoni a processo perché impuri a causa della convivenza con gli animali e disonesti a motivo delle loro violazioni dei confini territoriali. Rappresentavano una classe emarginata, disprezzata.

Bisogna tener conto, però, che proprio guardando ai pastori possiamo scoprire anche un altro messaggio: nell’antico Testamento i grandi personaggi (come Mosè e il re Davide), «prima di diventare guide del popolo, sono stati effettivamente pastori e nel Nuovo Testamento il termine pastore è sempre applicato a Dio, a Gesù e ai responsabili delle comunità: Dio, cioè, «decide di incarnarsi in un piccolo popolo, in una zona periferica, nel figlio di un falegname e di una ragazza». Decostruisce così «l’idea di Dio re, che nel Vecchio Testamento libera gli ebrei dall’Egitto, che era l’America di allora, mentre alla fine si incarna in una figura “deludente”. Allo stesso modo nei pastori si richiama l’idea degli ultimi: la prima epifania è per loro, gli umili che non fanno del loro sapere un motivo di orgoglio, i credenti e non creduloni. Rivelandosi ad essi, Dio dice qualcosa di sé: l’umiltà è segno di grandezza» (Silvano Petrosino).

Insomma, Luca ci vuole dire che Gesù è venuto a condividere un modo normale di vivere. L’angelo parla ai pastori perché sono l’immagine futura di Gesù». (don Flavio dalla Vecchia) Ma oggi chi sono i pastori? Flaminio Squazzoni, ordinario di Sociologia alla Statale di Milano mette in evidenza: «Innanzitutto diciamo chi non sarebbero: e cioè le gerarchie ecclesiastiche e quelle politiche. C’è una nuova trinità che governa oggi, Scienza-Tecnologia-Diritto, che orienta le nostre esistenze e ci sta dicendo che l’uomo è colpevole di tutto. Se anche arrivasse l’annuncio, non ce ne accorgeremmo. La società digitale soffre di assenza di verticalità e Gesù ci dice di guardare verso l’alto... Ma gli sconfitti dai processi economici e dalla globalizzazione sono salvabili: i pastorelli di oggi non consegnano la propria vita a questa trilogia, non sono schiavi dei nuovi idoli, che tra l’altro non danno la felicità. Vanno oltre, il loro sguardo è al di là. Hanno un potere che non arriva dalla società, ma da sé. Sono umili ma non sconfitti. Non sono i processi economici a determinarli. Non credono nella vita piatta dei TikToker. Sono poco visibili, ma sono più di quello che pensiamo».

Ciò che conta è saper ascoltare. E allora sentiremo anche noi l’annuncio degli angeli ai pastori e ci metteremo in cammino verso Betlemme. Che sia per tutti un Natale di quell’ascolto che ci fa ritrovare la speranza e la serenità.



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