Skin ADV

Le provocazioni del Natale

dom 08 gen 2023 10:01 • By: Renato Pellegrini

Il Natale: festa che tiene conto di tutta la vita di Gesù e di tutto il suo insegnamento

Un quotidiano nazionale ha pubblicato in questo periodo natalizio un articolo di Michela Murgia che ha suscitato non poco sconcerto. Si sono mossi quindi teologi di spessore a «rettificare» ciò che pareva sconveniente dire, buttando all’aria una convinzione diffusa e popolare. L’autrice in parola sostiene che «solo i cattolici hanno compiuto nella persona del Cristo incarnato l’idealizzazione dell’infanzia, costruendo intorno alla sua nascita una retorica zuccherosa priva di riscontro biblico».

Non voglio qui soffermarmi sul fatto che non sono solo i cattolici a fermare l’attenzione sul Bambino nato a Betlemme. Voglio però riflettere su quello che era l’intento di Murgia: difendere i credenti da un’omiletica natalizia che «nobilitando devozionalmente l’infantilismo, concorre a omologare il Natale cristiano alla paccottiglia pagana…» (Marinella Perroni, teologa) Certamente non si vuol mettere in dubbio che Dio si è fatto uomo, è nato come ogni uomo, piccolo bambino indifeso e bisognoso di tutto. Ma non è questo il centro dell’annuncio cristiano.

Infatti nei quattro Vangeli canonici, come anche in S. Paolo, non viene riconosciuta alcuna rilevanza teologica agli avvenimenti della nascita di Gesù. Sono racconti aggiunti dopo che era stato scritto tutto quello del quale non si può fare a meno: passione, morte e risurrezione di Gesù.

Elektrodemo

I racconti del Natale non fanno altro che rendere ragione alla fede pasquale. I «Vangeli dell’infanzia», cioè i primi capitoli di Matteo e di Luca, cercano di rendere “concreta” per chi legge l’espressione del Vangelo di Giovanni: «E il Verbo si fece carne». Probabilmente non interessavano le notizie circa la nascita di Gesù quando furono redatti i Vangeli (qualche decennio dopo la morte e risurrezione). Sta di fatto che il materiale contenuto nei primi capitoli è un’aggiunta. 

Gli storici sanno molto bene che il riferimento al censimento di Augusto ha per l'evangelista Luca ben altro valore che non quello di una notizia di cronaca. «Come per Matteo, quando fa di Gesù il figlio di David, cioè il Messia, è l'appartenenza di Giuseppe alla casa di David e non il fatto di essere nato a Betlemme. Il 25 dicembre, il freddo e il gelo, il bue e l'asino e tutto il resto, non sono nemmeno valore aggiunto, sono semplicemente aggiunte». (M. Perroni) Oggi è la stessa situazione che viviamo, dentro e fuori le chiese, a essere un monito: la fede richiede intelligenza critica, non fosse altro perché pensare può significare uscire dal sistema, ma mai attentare alla fede. I primi ad essere chiamati in causa sono i cristiani, perché se è vero che le feste vanno santificate, è purtroppo anche vero che «i ricchi lo fanno sedendosi a tavola, i poveri digiunando» (Sidney G. Smith). Certo, la nostra piccola rinuncia è solo una goccia nell’oceano della miseria di tante persone.

Ma è proprio di gocce che è fatto anche il mare del bene e della generosità: se nessuno facesse mancare la sua goccia, esso sazierebbe l’immensa distesa arida della povertà. In altre parole raccoglierebbe l’invito che quel bambino, Figlio di Dio, ha solennemente proclamato: «Avevo fame, e mi hai dato da mangiare» (Mt 25,35). Ed è lo stesso bambino che è dovuto scappare in Egitto, è emigrato in un Paese straniero perché volevano ucciderlo. L’Europa cristiana preferisce respingere chi vuole salvarsi la vita, chi non vuol morire di fame, chi scappa dalle torture. Insomma di fronte alla capanna di Betlemme potremmo non rammaricarci troppo che nella costituzione non abbiano ricordato le radici cristiane. Forse sono andate smarrite da tempo. Il Natale è per me la festa che tiene conto di tutta la vita di Gesù e di tutto il suo insegnamento. Festa certamente bella, solenne, ma circondata da richiami drammatici.     



Riproduzione riservata ©

indietro