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Chiese deserte e fede più consapevole

dom 22 gen 2023 10:01 • By: Renato Pellegrini

Il Dio e i credenti che stanno svanendo sono quelli dell’autorità, del dovere, dell’obbligo, dell’abitudine, del conformismo

L’appuntamento settimanale in un luogo di culto, per i cattolici la messa domenicale, attrae sempre meno gli italiani. Le statistiche sono impietose e pare disegnare un avvenire nuovo, senza religione o, forse, con una religione molto marginale e comunque diversa nel modo di praticarla.

Non occorre frequentare studi statistici particolari per rendersi conto che negli ultimi anni è decisamente aumentato il numero di chi non mette mai piede in una chiesa.

Nel 2002 quasi 4 italiani su 10 si recavano in un luogo di culto almeno una volta in settimana, mentre uno solo su 10 non ci andava mai. Oggi la situazione è cambiata e a non andare mai in chiesa sono 3 persone su 10. Molti ci vanno saltuariamente, nelle grandi festività o in qualche occasione particolare. Sono finiti anche i tempi di un Mezzogiorno più assiduo in chiesa rispetto al Centro-Nord. Allo stesso modo la frequenza femminile non sovrasta più quella maschile.

In generale tutto il Paese si è mosso verso una crescente disaffezione e con tanta maggior intensità proprio là dove vent’anni fa era maggiore la partecipazione alla vita religiosa, come i giovanissimi, le donne e il Mezzogiorno. Davanti a una situazione così cambiata e probabilmente in continuo cambiamento, viene subito da pensare alla secolarizzazione, che investe anche l’Italia, Paese sempre più occidentale, moderno, scientifico e capitalista e dunque sempre meno religioso. Dio muore e chi crede in lui si estingue, perché manca una società adatta alla fede.

Eppure, se si osserva il vissuto di individui, famiglie e comunità potremmo anche pensare che l’assiduità in chiesa non va confusa con la fede e nemmeno con la religiosità.

Potremmo scoprire con sorpresa che in realtà Dio non sta morendo e i credenti non si stanno estinguendo.

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Di certo i credenti non sono più quelli di una volta, che si incontravano la domenica in chiesa per la messa. Sta nascendo qualcosa di nuovo e ancora indecifrabile in gran parte.

«Intanto in quel 20% che con la propria assiduità settimanale costruisce una nuova Chiesa, anche in forma vicaria per conto dei tanti che non ci vanno, ma sono rassicurati dal fatto che qualcuno ci vada, come ha a suo tempo notato la sociologa inglese Grace Davie. Poi, soprattutto, nella reinvenzione frammentata, individualistica, creativa, di nuove forme di rito, di spiritualità, persino di incontro e di socialità. Così, alla scansione settimanale del giorno in cui si riposa il Creatore dopo avere fatto il mondo, si sostituiscono nuove periodicità, nuove domeniche, nuovi appuntamenti, nei quali Dio e credenti si incontrano tra consumo digitale, stili di vita e tecniche del corpo». (Marco Ventura in La lettura, 23 gennaio 2023).

In altre parole chi non frequenta mai o quasi mai una chiesa non è orgoglioso delle sue scelte, è convinto e lascia volentieri spazio anche a chi si comporta in modo opposto; la domenica è diventata per tutti il fine settimana da trascorrere in libertà, lasciando a Dio altri spazi e altri tempi. In fondo avviene per l’andare in chiesa quello che avviene anche per molte altre realtà, come ad esempio il calcio, anch’esso a suo modo orfano della liturgia domenicale.

Nella chiesa del dopo Ratzinger possiamo tranquillamente ammettere che la disaffezione non è colpa di chi ha abbandonato la messa in latino e ha sostituito all’organo le chitarre, e non è nemmeno colpa di chi non si straccia le vesti, perché vede gay e divorziati ordinatamente in fila per ricevere la comunione. Comunità ad alta partecipazione settimanale non ce ne sono più tanto nelle parrocchie quanto nei movimenti, tra gli scout e i neocatecumenali, tra i tradizionalisti e i cattolici Lgbtq+. Per tutti ciò che conta sta nella convinzione. Il Dio e i credenti che stanno svanendo sono quelli dell’autorità, del dovere, dell’obbligo, dell’abitudine, del conformismo.

Una volta si andava a messa perché mandati dai genitori o per la paura del prete. Oggi a messa ci si va se preti e genitori sono autorevoli e discreti, se si è in una compagnia di coetanei giusta; altrimenti si fanno altre scelte. La percentuale di chi va a messa tutte le domeniche coincide con lo zoccolo duro dei cattolici: sono quel 20% che il sociologo Franco Garelli definisce «convinti e attivi». Non c’è dubbio che in tutto questo c’è un valore. La religione nel nostro Paese è una scelta di libertà e non più di abitudine.

Si crede perché si sceglie di credere. Tutt’altro discorso si deve fare per quella porzione di mondo in cui la religione non è questione di libertà, l’osservanza dei precetti è imposta con la forza e separarsi dalla religione dei padri può costare la vita. Il valore della religione, lo possiamo costatare tutti, anche in Italia sta proprio non tanto nel confessarsi cattolici, ma nel sentirsi liberi di manifestare nei modi più diversi la relazione con il divino e la ricerca del trascendente. Il cattolicesimo può diventare “fermento attivo” da cui traggono origine esperimenti diversi, capaci di ridare slancio e forza al Vangelo. Come le Prealpi bavaresi «terra di fede» rievocate con nostalgia da Joseph Ratzinger a più riprese, e da ultimo nel suo testamento spirituale del 2006, l’Italia cattolica delle messe affollate non c’è più. «C’è un’Italia della scelta di credere o non credere, di frequentare o non frequentare il tempio, di celebrare o non celebrare in pubblico. C’è da ultimo un’Italia che si interroga su Dio stesso, sulla sua volontà di costringere e punire o di rimettersi alla libertà di uomini e donne, dunque sul suo potere di suscitare convinzioni e pratiche, di riempire o svuotare le chiese, di mettere la fede in piazza o di celarla nei cuori, di riunire le folle nei riti o di ripiegare gli individui nell’intimo».

 



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