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Un cimitero di crocifissi

dom 19 feb 2023 09:02 • By: Renato Pellegrini

Il Mediterraneo, da culla di civiltà a luogo di morte per troppi

Non è soltanto la guerra in Ucraina a rappresentare l’orrore di un’umanità che ha ormai perso ogni senso di solidarietà, di compassione, di volontà di risorgere. Papa Francesco ricorda che viviamo in un mondo dove la violenza è diffusa dappertutto ed è terribile, tanto da far perdere la speranza che sia possibile un miglioramento.

Le parole di Gesù nel Vangelo di questa domenica, che invitano a superare il pensiero unico, a cercare strade nuove per non rispondere al male con il male, sono praticamente dimenticate o cancellate. Anche nei Paesi cosiddetti cristiani non hanno più diritto di cittadinanza. In Ucraina l’unica strada per risolvere quel dramma che fa centinaia di migliaia di morte, che distrugge ogni speranza di una vita degna di questo nome si chiama guerra, riarmo. La Nato sta pensando che sarà necessario il servizio militare obbligatorio per aumentare la capacità di difesa…

Quello che si è sempre fatto bisogna rifarlo. Se vuoi la pace, prepara la guerra è di moda più che mai. Se vuoi la pace prepara la pace pare una frase che non ha senso in questo nostro tempo. Come pare non aver senso cercare di salvare quei disgraziati che tentano di attraversare il Mediterraneo per sfuggire a torture e morte. Sono bambini, donne, uomini a cui abbiamo tolto ogni dignità.

È facile dipingere le loro vite non come un grido per sopravvivere, ma come usurpatori della nostra serenità.

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Ci si dimentica facilmente della storia, di quella passata e di quella attuale; ci si dimentica di sfruttamento, di morti procurate. Ci si dimentica di dittatori africani che costringono le persone a fuggire. È bene guardare le persone in volto, vedere i loro corpi martoriati, ascoltare i loro racconti per capire che sono fratelli disperati che chiedono aiuto. Abbiamo letto tutti, credo, qualche racconto di profughi che si imbarcano in Libia su gommoni magari mezzi sgonfi per giungere sulle nostre coste. Talvolta arrivano in situazioni che vengono definite «estremamente disastrose». Altre volte è la corrente a portare sulla spiaggia i cadaveri. Di molti altri non resterà neanche il corpo, inghiottito da mare, dalla grande tomba del Mediterraneo, il mare che è stato la culla delle più antiche civiltà, ponte fra tre continenti, che ora è diventato tragicamente luogo di morte e di disperazione. Partono appena vedono una finestra di tempo buono e mare calmo. Partono con la speranza di cominciare una vita umana, evitando l’indifferenza. Ma basta un niente, un’onda un poco più alta per rovesciare una carretta dove sono ammassati corpi già provati. Basta un litigio, la paura di essere intercettati dalla guardia costiera della Libia, esperta in violenze e torture e di essere riportati in quelle prigioni che assomigliano molto all’inferno. Chissà cosa hanno già vissuto queste donne e questi uomini, questi bambini per tentare un ultimo passaggio pericoloso e senza certezza di arrivare alla meta auspicata. Fuggono da conflitti, violenze e persecuzioni; attraversano deserti e subiscono prigionia e stupri in Libia.

I tempi in cui il Mediterraneo era la culla del commercio degli schiavi, tra la sponda Nord cristiana e la sponda Sud mussulmana -attività legittima che pagava le tasse fino alle soglie dell’Ottocento – sembrava storia di un altro tempo. Secondo il Missing Migrants Project dell'agenzia, nel 2022 sulla rotta del Mediterraneo centrale – la traversata marittima più mortale del mondo – sono stati registrati più di 1.450 migranti morti e dal 2014 sono stati registrati più di 17 mila morti e scomparsi. Una media di quasi dieci persone morte o disperse ogni giorno. È una rotta che diventa ogni giorno più pericolosa, anche se diminuiscono le partenze. Dopo il picco del 2015, quando più di un milione di rifugiati e migranti hanno attraversato il Mediterraneo per raggiungere l'Europa, nel 2021 gli attraversamenti sono stati poco più di 123 mila. Ma il bilancio delle vittime ha visto un forte aumento. È necessaria un’azione concreta degli Stati per aumentare la capacità di ricerca e soccorso, stabilire meccanismi di sbarco chiari e sicuri, suggerisce l’Organizzazione internazionale delle migrazioni. Ma è ancora voce che grida nel deserto.



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