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Vita, morte e risurrezione

dom 02 apr 2023 10:04 • By: Renato Pellegrini

Trovare il senso di se stessi nel prendersi cura degli altri

È ormai vicina la Pasqua, giorno splendente della vittoria della vita, passata attraverso la passione, un dolore che non ha uguali e la morte. Ma proprio quando sembrava sconfitta, quando il buio pareva avere soffocato per sempre la luce, quando ogni voce si faceva lamento, è successo l’inverosimile: «Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello: il Signore della vita era morto, ma ora, vivo, trionfa». È l’annuncio più incredibile, il più capace di donare speranza e futuro.

Da più di duemila anni i cristiani ogni anno lo fanno risuonare in ogni parte del mondo. Là dove c’è soltanto il silenzio pauroso della morte, o l’urlo lacerante delle bombe ci viene detto che tutto può nascere di nuovo, tornare alla vita, vincere la disperazione e il disgusto di chi non sa amare. E tutto questo è possibile perché un uomo mandato da Dio non è rimasto chiuso in un sepolcro, ma ha frantumato la pietra posta sull’ingresso ed è tornato tra i suoi per sempre. Gesù di Nazareth, che non aveva considerato un tesoro da conservare solo per sé la sua uguaglianza con Dio, ha donato all’umanità intera un amore capace di vincere ogni odio e ogni sofferenza insegnando come «vivere amando e accettando di essere amati sia dare all’oggi la profondità dell’eternità. Solo l’amore innesta nella nostra vita mortale l’eternità» (Enzo Bianchi: Cosa c’è di là.

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Inno alla vita). Cristo per l’umanità ha vinto la morte e ha diradato le tenebre; per questo l’unica porta che possa aprirci al segreto dell’aldilà è il cammino dell’amore: dobbiamo cercare di amare fino alla fine e accettare con umiltà di essere amati, come Gesù Cristo, che è la vita eterna, ci ha insegnato. Ma occorre vincere la tentazione di una fuga dal mondo, dalle sue bellezze e dalle sue contraddizioni.

Certo, le stagioni si avvicendano nel ciclo vitale della natura e anche la nostra esistenza partecipa in piena armonia al fluire del mondo: come accade per un fiore o per un albero, così per l’uomo un giorno arriverà la sua ora e in polvere ritornerà. «Non si deve dunque rinunciare al presente e guardare solo al futuro con febbrile attesa, ma coltivare, preparare il futuro nel presente» (Enzo Bianchi, cit.) E lungo il cammino ci è dato l’esempio dell’unico testimone, Gesù, che in vita ha incontrato come tutti il dolore e la morte sulla croce. Prima di noi ha sperimentato l’oscurità, ha toccato con mano il dolore e la solitudine sua e degli altri. E anche per Lui, il dolore, la sofferenza e la morte sono stati un faticoso enigma. La passione e la morte di Gesù abbracciano allora tutta la nostra umanità fragile, tutto il nostro limite di fronte alle peripezie e ai turbamenti che agitano le nostre esistenze.

L’invocazione «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» è lo stesso nostro grido di fronte al dolore insensato, le nostre stesse lacrime di disperazione e la nostra richiesta di aiuto nella preghiera per affrontare tutta la fatica del vivere. Vale sempre la pena ricordare che Dio non si compiace del nostro dolore e non desidera che noi glielo offriamo. Dio guarda al nostro dolore con compassione, soffrendo con noi e mandando a noi il suo Spirito perché ci consoli, ci renda capaci di sperare e amare la vita, non di desiderare la morte. Se, da un lato, l’uomo non ha risposte di fronte al dolore e alla sofferenza terrene, dall’altro l’amore che diventa dono e comunione non è mai insensato, ma è l’unico balsamo di salvezza capace di generare vita e seminare speranza: «Si può vincere la morte, non permetterle di essere l’ultima parola amando fino all’estremo gli altri, e questo è già un inizio di vita eterna».

So che c’è anche chi fa fatica a vivere, a trovare un senso nella vita. Forse allora bisogna provare a trovare un senso nella vita degli altri, prendendosi cura di loro, combattendo per una causa giusta, imparando a dire non solo «io», ma «tu e io», «noi insieme».



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